Basta leggere le cronache giornalistiche per constatare come il fenomeno della sottrazione di beni culturali appartenenti alla Chiesa cattolica e alle sue istituzioni sia in espansione, ponendo problemi tutt’altro che trascurabili per il mercato dell’arte. I furti nelle chiese vengono qualificati come «sacrilegi» e, in taluni ambienti (specie nella cultura contadina) il recupero dei beni rubati viene seguito da riti espiatori, quasi che la comunità dei fedeli (come si dice oggi, «il popolo di Dio») si senta collettivamente responsabile del sacrilegio compiuto con la sottrazione violenta della cosa alla devozione. Purtroppo, i beni rubati non portano impresso il timbro della loro provenienza chiesastica: una volta sottratti, essi si confondono con gli altri beni privati a soggetto religioso, che circolano regolarmente nel mercato dell’arte antica, del quale costituiscono la larga maggioranza.
Di qui, l’esigenza di conciliare due opposti interessi: da un lato, l’affidamento dell’acquirente ...
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