Secondo John Szarkowsky, il suo primo e più importante sostenitore, William Eggleston è l’uomo che ha «inventato la fotografia a colori». Probabilmente l’allora direttore del dipartimento di fotografia del MoMA esagerava per meglio lanciare la mostra del giovane e pressoché sconosciuto William, ma è certo che l’artista nato a Memphis nel 1939 ha segnato una tappa fondamentale e ineludibile nella storia della fotografia proprio a partire dalle sue immagini a colori. Come ogni storia che si rispetti, però, anche quella di Eggleston ha un prologo: c’era una volta, nei primi anni Sessanta un giovane fotografo, isolato nel Sud degli Stati Uniti, perdutamente innamorato della fotografia del maestro francese Henri Cartier-Bresson. Tanto innamorato di quell’equilibrio formale e morale da pensare di non poter far altro che «dei perfetti falsi Cartier-Bresson», tanto innamorato da andare fino a Parigi a vedere di persona i luoghi immortalati dal maestro. E da rendersi finalmente conto, lì, che avrebbe dovuto fare qualcosa d’altro, rompere quell’equilibrio e soprattutto trovare dei soggetti nuovi.
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