Per breve tempo, dopo essere stata sin dai 12 anni operaia tessile, Tina Modotti fu attrice in California, il Paese dove la sua famiglia era emigrata; poi fu fotografa di talento nel Messico postrivoluzionario, dove fu anche musa, compagna, amante di artisti (di entrambi i sessi: la sua amicizia con Frida Kahlo fu assai chiacchierata). E infine fu un’indomita attivista, animata da una passione civile e politica che l’accompagnò dall’infanzia, vissuta in una numerosa famiglia operaia, fino alla morte misteriosa (Diego Rivera accusò il suo ultimo compagno di averla avvelenata, ma è più probabile che su quel taxi di Città del Messico che la riaccompagnava a casa dopo una cena da Hannes Meyer, ultimo direttore del Bauhaus, a ucciderla sia stato un infarto): insomma quella di Tina Modotti (Udine 1896-Città del Messico 1942) è stata una «vita da romanzo» riassunta nel sottotitolo «Fotografia, passione, rivoluzione» della retrospettiva che Palazzo Madama le dedica fino al 5 ottobre. La rassegna la ...
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