«Avevo un padre muratore sui generis, gli piaceva restaurare i castelli dell’entroterra riminese. Preferiva farsi pagare in quadri e libri d’arte. Quindi, soldi sempre pochi in una casa piena di musica lirica, libri di tutti i tipi e quadri, soprattutto macchiaioli che poi mia madre vendeva di nascosto perché ce n’era bisogno. Mio padre mi ha lasciato questo gusto per l’arte di allora e per la lirica. Quella è stata la mia incubazione formativa».
Si presenta così Pier Luigi Celli, 72 anni, romagnolo di Verucchio. La sua carriera è segnata dalla diversità culturale: il pensiero non ortodosso di un manager che scrive libri e pensa «che la fortuna di un’azienda siano le persone che ci lavorano». Si definisce «un fritto misto, un irregolare». Un approccio critico alla vita e al lavoro che Celli spiega così nel suo ultimo libro, Alma matrigna. L’università del disincanto (Imprimatur editore), riflessioni sul significato della cultura e sull’esperienza da direttore alla Luiss, ...
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