Gallerja, fino al 12 luglio, presenta una decina di lavori del romano Carlo Rea (1962), riunite in una personale, «Impermanenze. Forme e immagini delle superfici in fluttuazione», curata da Bruno Corà. Figlio d’arte, dopo avere studiato al conservatorio, dagli anni Ottanta Rea intraprese un percorso di ricerca che dalla musica lo portò a lavorare con la scultura e la pittura monocrome, in diretta relazione con lo spazio circostante. Tra i lavori esposti, «Campo sonoro o ubiquità del tempo» (2013-14, nella foto di Massimo Zanconi l’artista con l’opera), un’installazione in ceramica a misura ambientale, formata da quarantadue pezzi simili a forme vegetali sottili e frastagliate, che, se accarezzate con le mani, vibrano leggermente. A parete sono collocate le «Impermanenze», superfici singole o composte in dittici o trittici, lavorate con lino, tempera e racchiuse sul verso e sul recto da uno strato di garza, e due grandi carte con al centro dei sollevamenti ricavati dalla stessa superficie: ...
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