Sarà per suggestione geografica, ma aggirandomi per la mostra milanese di Van Gogh non ho potuto fare a meno di pensare alla salsa olandese. Che è quella roba densa e gialla capace, un po’ come la maionese, di prevaricare il gusto di qualsiasi pietanza sino a farlo scomparire.
Pare che nonostante il nome sia una faccenda francese, proprio come d’altronde è successo al grande pittore. Solo che qui la salsa olandese non è olandese né francese, ma giapponese, e di nome fa Kengo Kuma.
Dunque, si son detti gli organizzatori, abbiamo il nomone, Van Gogh, ma non è che delle sue opere abbiamo il fior fiore. Non son tante, e soprattutto appartengono per stagione e tematiche alla produzione meno «croccante» (giuro, questa l’ho sentita dire davvero da un organizzatore fighetto) del nostro. Se vogliamo sbigliettare à gogo, che è l’unica ragion d’essere d’ogni intrapresa culturale secondo il nuovo credo, bisogna darci dentro di additivi.
E visto che siamo nella nuova capitale della meglio architettura di tendenza ...
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