Londra. Che sia impegnato a spingere un blocco di ghiaccio per le strade di Città del Messico, a convincere 500 studenti a spostare una montagna di sabbia o a liberare una volpe nelle sale della National Portrait Gallery di notte, Francis Alÿs ha offerto performance indimenticabili in contesti urbani, in mezzo alla natura o negli oceani, lungo le frontiere o attraverso i continenti e persino nell’occhio di un tornado. Le azioni di Alÿs affrontano complessi temi storici e politici, sempre legati a un luogo specifico. L’artista utilizza tecniche diverse, fotografia, pittura, film, disegno e animazione. Nato in Belgio nel 1959, Alÿs ha studiato architettura a Venezia e ha vissuto in Messico quasi quindici anni; nonostante la fama internazionale, cerca di sfuggire alla trappola del successo: quando gli è stato chiesto di partecipare alla Biennale di Venezia del 2001, ha mandato un pavone al suo posto. Ora però, con un’importante mostra aperta alla Tate Modern dal 15 giugno al 5 settembre e che farà tappa al Wiels di Bruxelles e al MoMA di New York, sembra che questo artista schivo e riservato, che abbiamo intervistato, sia destinato a stare per un po’ sotto i riflettori.
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