Per Penitenza due mesi a Trastevere

Al Macro i lavori degli artisti che tra il 1989 e il 1991 parteciparono al programma di residenza organizzato da Barbara Gladstone

«Untitled #205» (1989) di Cindy Sherman (particolare). Cortesia di Collezione Privata, Roma
Francesca Romana Morelli |  | Roma

Il programma espositivo del Macro aggiunge alle mostre già aperte, tra cui le personali del pittore Jochen Klein (1967-97), impegnato nell’attivismo sociale, e della musicista e teorica Pauline Oliveros, pioniera della pratica del deep listening, ovvero dell’ascolto consapevole, due nuove rassegne ad esse collegate.

Dal 9 giugno al 29 ottobre è allestita «Vicolo della Penitenza 11/A», che dà conto di un programma di residenza organizzato a Roma, tra il 1989 e il 1991, dalla gallerista Barbara Gladstone e dalla consulente e collezionista d’arte Thea Westreich.

Per un massimo di due mesi nel trasteverino vicolo della Penitenza hanno vissuto e lavorato, sotto la guida della curatrice e artista Janice Guy, artisti del calibro di Cindy Sherman, Michel Auder, Richard Princee e la sua assistente DW Fitzpatrick, Gary Hume, Meyer Vaisman, On Kawara, Thomas Struth, Franz West, Christopher Wool, Lawrence Weiner, Julian Lethbridge e Reinhard Mucha.

Ora la mostra accoglie gli artisti invitati e quelli che, per ragioni diverse, furono parte del progetto: DW Fitzpatrick, Sarah Lucas, all’epoca legata a Hume, e Sarah Charlesworth, che fece visita a Sherman. «Questi artisti provengono da peculiari contesti geografici, sociali e stilistici i cui canoni si intrecciano con l’identità nazionale, tra cui gli Young British Artists, la Pictures Generation statunitense e la Scuola di Düsseldorf, spiega Luca Lo Pinto, direttore del Macro.

Ogni lavoro in mostra è pertanto una sorta di “osservatorio” attraverso cui è anche possibile esaminare il mondo dell’arte occidentale tra la caduta dell’Unione Sovietica e la Prima Guerra del Golfo, mentre Roma cambiava pelle rapidamente sullo sfondo degli eventi politici che determinarono la caduta della Prima Repubblica italiana nel 1994».

La mostra presenta le ricerche avvenute durante «The Roman Studio» (titolo del programma di residenza) e poi a New York, dove Struth e Vaisman diedero vita alla serie «Roma» (1992), in cui il primo artista interpreta la tipica gestualità italiana delle mani eternata in scatti in bianco e nero del secondo. Sempre Struth a Roma ha eseguito vedute a prospettiva centrale delle strade urbane, mentre Sherman ha sovvertito i canoni della ritrattistica antica e Lucas ha creato il video «Sausage Film» (1991), inizio dell’estetica punk femminista Yba.

Stesse date per la mostra del duo franco-britannico Daniel Dewar & Grégory Gicquel «The Bidet and the Jar» con un nuovo nucleo di sculture in grès, bidet, brocche, vasi, lavabi e piatti, tra pratica scultorea e lavoro manuale per cui ogni pezzo vive in bilico tra il concetto di unicità dell’opera d’arte e la logica della produzione industriale. Ricoperti da uno smalto verde-marrone i lavori campeggiano su quattro tavoli, quasi a suggerire una sala da pranzo o un asettico showroom. Le mostre sono promosse dall’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale e da Azienda Speciale Palaexpo.

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