Il fighettismo della cultura è pandemico e non risparmia nessuno

Nel suo ultimo pamphlet Christian Caliandro bacchetta artisti, critici e curatori adagiati nel proprio mondo elitario e privilegiato. Ma ci sono anche «fighetti» sfruttati, con partita Iva. Come uscirne?

Damine Hirst con il suo «fighetto» teschio tempestato di diamanti
Alessandra Mammì |

È un vero Manifesto Contro l'arte fighetta questo saggio che Christian Caliandro ha pubblicato con Castelvecchi in una collana da lui diretta, firmata da autori che vanno dai 32 anni di Lucrezia Longobardi ai 46 di Marco Enrico Giacomelli. Progetto generazionale di controinformazione sull’arte e il suo sistema, titolato non a caso «Fuoriuscita» e inaugurato da un primo pamphlet a firma Caliandro, L’arte rotta, a cui ora si aggiunge questa provocatoria dissertazione sul colpevole «fighettismo» che ha disidratato le opere rendendole pura decorazione ad uso e consumo di un mondo fatto da ricchi per i ricchi.

Ricchi, poveri, working class sono parole chiave in questo libro che non ha paura di usare un linguaggio più vicino al Novecento che al secolo digitale. Armato di uno stile sanguigno, muscolare e nutrito di verve polemica il Nostro s’inoltra in una disamina dell’arte attuale e dei fighetti (artisti-critici-curatori) che la dominano a cui rimprovera di «essere incapaci di immaginare un futuro, di rinchiudere le opere nel recinto della decorazione, di mostrarsi conservatori e reazionari, di non aver interesse a costruire un nuovo mondo ma a solo a star comodi nel proprio....» e così via.

L’origine di questa resa incondizionata affonda in una economia neoliberista che ci governa con la seduzione e la manipolazione di un immaginario collettivo capace di indirizzare i nostri desideri e consumi, come suggerisce il filosofo Byung-chul Han, uno dei molti citati da Caliandro, che tra brani di artisti registi e scrittori con una ricca bibliografia  allarga la sua analisi anche al cinema, alla musica, alla letteratura dimostrando che il fighettismo è ormai pandemico e abbraccia tutte le branche del nostra cultura.

In questa densa e prolifica dissertazione molti sono gli spunti interessanti: attribuire ad esempio alla moda degli archivi e alla nostalgia del Novecento una «cronorifugio» che salva gli artisti dal confronto con il presente e con la realtà; illustrare come un recinto il meccanismo espositivo delle mostre, delle fiere e delle biennali; difendere la rabbia degli ecologisti verso l’arte con parecchie sorprendenti argomentazioni.

Resta invece più fumoso capire quale sia la via d’uscita che qui si individua in una proposta di «arte sfrangiata» e disobbediente a tutte le regole. Convince meno l’immagine di un «artista non-fighetto immerso in una sincera autentica, irredimibile negatività» che riecheggia il maledettismo Bohème. E lascia perplessi questa veteroclassista divisione tra ricchi e poveri dimentica delle migliaia di «fighetti» a partita Iva pesantemente sfruttati. Ma a Caliandro va comunque il merito di aver rotto con la sua voce dissonante e necessaria quell’uniformità e mancanza di critica che anche grazie a questo libro è ormai impossibile non vedere.
La copertina del volume
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ntro l’arte fighetta, di Christian Caliandro, 160 pp., Castelvecchi, Roma 2023, € 16,00

Il volume verrà presentato il il 9 giugno alle 19 nell'ambito di IPER-Festival delle periferie (spazio bookshop) presso la Pelanda/Mattatoio di Roma. Con Christian Caliandro interverrà l'autrice di questo articolo, la critica e giornalista Alessandra Mammì.


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