Al Pompidou di Metz il gioco e l’arte nell’epoca digitale

La rassegna, che amplia una prima mostra presentata nel 2020 alla Julia Stoschek Collection di Düsseldorf, apre in contemporanea con una personale di Elmgreen & Dragset, nella stessa sede

«Mirror by China Tracy» (2007), di Cao Fei (particolare)
Luana De Micco |  | Metz

«I videogiochi sono nel XXI secolo quello che i film erano nel XX secolo e i libri nel XIX», afferma Hans Ulrich Obrist, direttore artistico della Serpentine Gallery di Londra che ha curato la mostra «Worldbuilding | Gaming and Art in the Digital Age» del Centre Pompidou-Metz, filiale lorena del museo parigino. Riprendendo le analisi dello storico Johan Huizinga (autore di Homo Ludens, 1938) e del filosofo C. Thi Nguyen (Games: Agency as Art, 2020), dal 10 giugno al 15 gennaio 2024 la rassegna, che rivisita, adatta e amplia una prima mostra presentata nel 2020 alla Julia Stoschek Collection di Düsseldorf, esplora come, a partire dall’estetica e dalla tecnologia dei game (un hobby diventato fenomeno di massa con più di 3 miliardi di gamer nel mondo nel 2022), alcuni artisti hanno creato una nuova forma d’arte.

Sono presentati i lavori di Neïl Beloufa, Cao Fei, Philippe Parreno, Dominique Gonzalez-Foerster, Pierre Huyghe o ancora Meriem Bennani. L’atmosfera è immersiva e multisensoriale. Il visitatore può mettersi in poltrona e testare esperienze di realtà virtuale o partecipare a installazioni interattive. Al di là dell’aspetto ludico, la mostra riflette su temi di società, violenza, stereotipi di genere, ecologia e schiavitù moderna. Sempre dal 10 giugno, ma fino al primo aprile 2024, il Centre Pompidou-Metz presenta anche «Bonne chance», prima personale in Francia del duo di artisti Elmgreen & Dragset, curata dalla direttrice del museo, Chiara Parisi.

I lavori di Michael Elmgreen (Copenaghen, 1961) e Ingar Dragset (Trondheim, Norvegia, 1969), che collaborano dal 1975 e vivono a Berlino, sono stati visti di recente in Italia, nel 2022, alla Fondazione Prada di Milano. A Metz realizzano un’installazione site specific, tra opere già note e nuove. Il visitatore, ospite indesiderato o intruso, si muove in un paesaggio urbano banale, popolato da iperrealistici personaggi in silicone, ma perde via via ogni riferimento spazio-temporale. Reale e fittizio si mescolano, come in «The One & the Many», monumentale scultura che riproduce a grandezza naturale un edificio di case popolari della Germania dell’Est, come se ne vedono molte a Berlino. Il visitatore è invitato a bussare alle porte.

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