Visioni plurime da C+N Gallery CANEPANERI

Nella mostra dello spazio milanese, il mondo, osservato da diverse angolazioni, è oggetto di indagine per quattro giovani e promettenti artiste provenienti da Paesi diversi

«Notes on reaching out (I) - Diptych» (2023) di Chigozie Obi
Francesca Interlenghi |  | Milano

Dal 7 giugno al 30 luglio, C+N Gallery CANEPANERI, presenta nel suo spazio milanese «Young Talents: Polymathic Nature. Step 2», la seconda tappa della rassegna collettiva dedicata a quattro artiste internazionali: Kim Nam (1992, Seoul, Corea del Sud), Chigozie Obi (1997, Lagos, Nigeria) Amelie Peace (1997, Parigi, Francia) e Sofia Salazar Rosales (1999, Quito, Ecuador).

Il progetto, come evocato dal titolo, vuole indagare la natura polimatica dell’espressione artistica. Parola di origine greca, «polimatìa» significa letteralmente «l’avere imparato molte cose» e viene utilizzata in riferimento al sapere di chi ha una conoscenza avanzata su molti argomenti.

La mostra invita quindi le artiste a misurarsi, ognuna con la propria cifra stilistica, con l’elemento poliedrico che caratterizza l’arte contemporanea. Muovendo dai concetti di «corporeità» e «dialogo», centrali in tutte le opere, il percorso espositivo evidenzia come le giovani generazioni stiano imparando a pensare in maniera critica e a vedere il mondo da diverse angolazioni, cogliendone le sfumature, forti anche dei loro diversi contesti di provenienza.

Corea del Sud, Stati Uniti, Nigeria, Francia, Regno Unito ed Ecuador disegnano un quadro di frammentazione, pretesto per esplorare i legami che uniscono gli individui al loro ambiente sociale e culturale e per analizzare il modo in cui il corpo umano si pone in relazione dialogica con il tema dell’adattamento.

«A Shark and Three Crows» (2023) di Amelie Peace
La francese Peace, che attualmente vive e lavora a Londra, mette al centro della sua riflessione l’essere umano, di cui indaga l'esperienza del tatto, il bisogno di connessione fisica e le questioni emotive, sessuali e di genere. I personaggi dei suoi quadri sono spesso intrecciati gli uni agli altri, quasi a manifestare una condizione di dipendenza fisica reciproca, come se in un tempo passato avessero condiviso lo stesso corpo. Enfasi particolare è posta inoltre sulle mani, che fungono da portali e che guidano lo spettatore attraverso le numerose narrazioni dell’artista.

Il substrato concettuale di queste rappresentazioni risiede nella convinzione che ogni contatto con l’altro alteri la visione del proprio corpo. «Il termine polimatìa ha per me a che fare con una situazione di conflitto. È un sentimento di cura quello che provano l’uno per l’altro i miei soggetti o di repulsione? Mi pongo spesso questa domanda. Da essa scaturisce un dialogo che mette in evidenza il carattere poliedrico della natura umana ed è quello che cerco di fissare nei miei dipinti».

L’artista espone in questa occasione due nuovi lavori. In quello intitolato «My Heart» si vedono due figure fuse insieme, due facce diverse dell’amore che, interagendo all’interno di uno spazio simile a una nuvola, suggeriscono l’idea di impermanenza. Nell’altro, dal titolo «A Shark and Three Crows», iniziato come trascrizione del dipinto «Dog Woman» (1994) di Paula Rego, l’artista intraprende un viaggio dai contorni di fantasia autoprofetica. I tre corvi raffigurati hanno un forte simbolismo, che fa riferimento alle idee di trasformazione e di cambiamento spirituale o emotivo.

«Gazers» (2021) di Kim Nam
Trasferitasi dalla Corea del Sud a New York all’età di quattordici anni, l’artista multidisciplinare Nam, attraverso i corpi umani raffigurati nei suoi dipinti, esprime visioni dispotiche del reale. Senso di spaesamento e umorismo grottesco danno enfasi a un’umanità disumanizzata, in preda all’inquietudine e all’angoscia, sentimenti tipici dello sradicamento culturale che patiscono tutti gli immigrati. «È solo quando ti allontani dal luogo, dalla cultura e dal sistema che conosci, sperimentando le barriere linguistiche, il conflitto culturale e la discriminazione, che puoi riconoscere che i miti in cui credevi erano falsi. Questa esperienza mi ha portato a lavorare su concetti quali il nazionalismo, l’identità culturale omogenea, le false credenze e il processo di apprendimento legato a queste nozioni».
«Notes on reaching out (III)» (2023) di Chigozie Obi
La nigeriana Obi si avvale di una molteplicità di materiali per narrare storie che traggono ispirazione da vicende personali e sociali, mostrando forte interesse per i temi del corpo, gli standard di bellezza e l'accettazione di sé. Cresciuta secondo i dettami di un’educazione cattolica conservativa, la sua pittura mette in risalto figure femminili che cercano di scardinare gli stereotipi, legati ai ruoli di genere e alla sessualità, imposti dalla società. La nuova serie di opere in mostra, dal titolo «Notes on reaching out», sottolinea il significato di connettersi con sé stessi e con gli altri durante i momenti difficili, per evitare di perdersi nelle difficoltà.

A proposito del suo approccio artistico afferma: «una persona poliedrica è per me qualcuno che, volendo accrescere la propria conoscenza, la acquisisce da diversi aspetti della vita e del mondo. Penso che la mia arte riveli una natura polimatica nel modo in cui tocca vari argomenti e per la varietà di media con i quali è presentata. Con la mia pratica, compio un viaggio di apprendimento e crescita continui, con l’obiettivo di proseguire l’esplorazione dei vasti contenuti del mondo che mi interessano, così che possano essere ricostruiti attraverso il mio lavoro».

«When the axial skeleton decides to speak» (2023) di Sofia Salazar Rosales
Infine, l’ecuadoriana Salazar Rosales, che attualmente vive e lavora a Parigi, utilizza l’espressione «corpi stanchi dopo un lungo viaggio, che cercano di mettere radici» per sintetizzare il suo lavoro. Instaurando un vero e proprio rapporto affettivo con gli oggetti, l’artista si avvale per le sue opere di materiali ricorrenti, come imballaggi per usi diversi, che evocano la memoria del viaggio, la resistenza al peso e il senso di protezione.

Nello spazio della galleria, sono esposte due nuove sculture in dialogo tra loro. Una stuoia tessuta a mano con fibra vegetale e ricavata da uno stampo, intitolata «Grandma», e la rappresentazione di una trave industriale «When the axial skeleton decides to speak», che insieme danno conto dell’interesse dell’artista a indagare la relazione tra l’esportazione di alcuni prodotti agricoli e il cambiamento dei materiali da costruzione, conseguente alla modernizzazione.

Quanto al suo processo creativo, Salazar Rosales dichiara: «Il più delle volte mi lego alle parole, alle frasi, alle immagini. Quelle sono un punto di partenza. Ad esempio il termine spagnolo «carecer», che in italiano significa mancanza, mi interessa per il fatto che esprimere il concetto di assenza. Allo stesso tempo, fonologicamente, la stessa parola letta in francese suona come «caresser», che significa accarezzare. Costruire dall’assenza accarezzando. Inizia così il mio lavoro, dal sentimento e dai gesti, che mi portano a creare passando attraverso la contestualizzazione di un sentimento immateriale. Allora la produzione diventa un insieme di gesti che cercano di conciliare contesti, materiali, intuizioni e fatti storici».

© Riproduzione riservata
Altri articoli di Francesca Interlenghi