L’idea (sbagliata) di una storia dell’arte senza uomini

Katy Hessel, la persona dietro il profilo Instagram @thegreatwomenartists di cui Einaudi ha appena tradotto il libro, ha una fissazione tutta al femminile

@ Luke Fullalove
Arabella Cifani |

Sono di moda da qualche anno, anche nel settore della Storia dell’arte, le crestomazie, ovvero le selezioni di opere scelte con criteri vari: «cento quadri di», «cento oggetti che». Solitamente lasciano il tempo che trovano: operazioni di questo tipo sono sempre opinabili. È questo anche il caso dellibro di Katy Hessel che ha come tema una «rasoiata» sulla storia dell’arte senza uomini. Ma perché escluderli? Semmai, non sarebbe meglio contestarli, studiarli e smontarli? E poi, che cosa sono davvero il femminile e il maschile in arte? Soprattutto in un’epoca che precipita verso la disgregazione dei generi?

Per comprendere il libro si deve andare a vedere chi è l’autrice e si scopre che è più significativa la sua biografia che il testo. Katy Hessel è una giovane elegante londinese, storica dell’arte, influencer, curatrice, conduttrice, scrittrice e vincitrice di un premio (Waterstones Book of the Year 2022). Gestisce @thegreatwomenartists, un account Instagram che celebra quotidianamente donne artiste. Ha anche una rubrica su «The Guardian» intitolata «The Great Women’s Art Bulletin», dedicata al commento di opere di artiste.

Non manca il podcast «The Great Women Artists», dove ha intervistato molte artiste e dove ospita anche il podcast di Dior, «Dior Talks Feminist Art». Scrive e presenta documentari artistici per la Bbc e nel 2021 è stata selezionata per la lista «Forbes 30 Under 30». Nel 2022 è stata nominata Curatorial Trustee del Museo di Charleston e nel 2023 è diventata Visiting Fellow all’Università di Cambridge. Cura mostre, tiene conferenze e molto altro ancora. È un perfetto prodotto culturale dei nostri tempi. Sa benissimo come vendersi e dove vuole andare e cavalca il marketing culturale femminile e femminista e la moda della «cancel culture» come una valchiria. Nulla di male. Il problema sorge leggendo il libro.

Frasi come «la narrazione maschile occidentale predomina iniquamente sulle altre» sono oggettivamente allarmanti. E con che cosa sostituiamo questa narrazione, con una favola? Come pure premesse del tipo: «Essere una donna e insieme un’artista non è mai stato facile». Bella scoperta. E che dire della promessa di scoprire nel libro «donne vittoriose che hanno operato per quattro secoli», saltellando con elegante leggerezza sulla realtà delle terribili difficoltà che le artiste hanno affrontato nel tempo? Fossero state vittoriose. Magari. Hessel farebbe forse bene a rileggere (o leggere) con attenzione il saggio del lontano 1971 di Linda Nochlin Perché non ci sono state grandi artiste (allora pubblicato sulla rivista «Art News» e nel 2021 a Londra da Thames & Hudson) e poi domandarsi che cosa fare veramente per cambiare le cose.

La carrellata sulle donne nella storia dell’arte fra Rinascimento e Novecento è una sfilata di cose ritrite che si trovano in qualsiasi manuale. Lo stile è sciatto, il linguaggio pure. Vengono pubblicati bei dipinti, alcuni molto celebri, altri decisamente inguardabili. E se fossero quadri di uomini farebbe lo stesso. Hessel sciorina una sfilza di identità che in definitiva dovrebbe provarci che le donne hanno avuto un grande ruolo nella storia dell’arte quando sappiamo che non è vero. Non è che la considerazione piaccia, ma così è. Va un po’ meglio con il Novecento, ma solo perché tutto va meglio per il genere femminile occidentale. Si arriva poi al presente, tra alti e bassi, e si conclude con tre giovani pittrici, tutte britanniche.

Infine, l’autrice chiude il tutto con un «A che punto siamo?», carico di implicazioni pesanti come nuvoloni temporaleschi. Per esempio: il Museo di Baltimora nel 2022 ha acquistato solo opere d’arte realizzate da donne. Ma erano brave? Avevano talento? L’essere di sesso femminile (come di sesso maschile) non è una garanzia. Hessel non si pone mai domande sulla qualità. Considera poi che il mondo si muove veloce: notiziona. Infatti cita la crisi climatica, il Covid-19, Putin e la guerra in Crimea. Up to date.

L’auspicio finale, da brivido, del talk show di Katy (la immaginiamo in qualche tv anglosassone o americana occupata in un birignao artistico con un’estasiata conduttrice) è che le persone del suo tipo possano e debbano avere ruoli di comando in futuro, perché «così si resetta il mondo, così deve farlo anche la storia dell’arte». E poi, rivelazione: «La Storia viene e sempre verrà riscritta ogni giorno». Questo libro non provoca e nemmeno punge, semplicemente fa cascare le braccia. Il conformismo del presunto anticonformismo di questa tipologia di pensiero, gravato da un’evidente cappa ideologica, rende provinciale questo volume che vorrebbe essere invece un’operazione di livello internazionale. Sarà londinese ma per la Hessel userei la considerazione di Arbasino: «Puoi togliere una ragazza dalla provincia, ma non puoi togliere la provincia da una ragazza». Secondo me le donne hanno bisogno di ben altro per affermare il loro ruolo e la loro identità nel mondo dell’arte.

La storia dell’arte senza gli uomini,
di Katy Hessel, trad. di Luca Bianco, 512 pp., ill., Einaudi, Torino 2023, € 35

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