Analisi scientifiche sulle opere maltesi di Caravaggio

Avendo già studiato il «Cavaliere di Malta» di Caravaggio conservato nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti a Firenze Maria Letizia Amadori e Gianluca Poldi sono stati chiamati a valutare lo stato di conservazione del «San Girolamo»

«San Girolamo scrivente» (1608) di Caravaggio (particolare) © Gianluca Poldi
Stefano Miliani |

La Concattedrale di San Giovanni conserva due opere di Caravaggio, un «San Girolamo scrivente» e la «Decollazione del Battista». Avendo già studiato il «Cavaliere di Malta» di Caravaggio conservato nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti a Firenze, Maria Letizia Amadori, docente di Chimica per i beni culturali dell’Università di Urbino, e Gianluca Poldi, fisico e docente nell’ateneo di Bergamo, nel 2021 sono stati invitati da Cynthia De Giorgio e Adriana Alescio, rispettivamente curatrice e restauratrice della St. John Co-Cathedral Foundation,a studiare la tecnica esecutiva del «San Girolamo» e a valutarne lo stato di conservazione a oltre trent’anni dal restauro eseguito dall’Istituto Centrale per il Restauro di Roma. Amadori e Poldi hanno condotto analisi non invasive e microinvasive.

Attraverso radiografie e riflettografie emergono alcune piccole revisioni dei profili del santo e un elemento obliquo appena accennato che pare poggiare sull’avambraccio sinistro: «Forse Caravaggio aveva pensato di collocare lì in prima battuta il Crocifisso, senza poi dipingerlo», osservano. Lo stipite sulla destra con lo stemma dei Malaspina, secondo alcuni un’aggiunta successiva, appare invece originale, mentre «la gamba centrale del tavolo, dalla forma meno compiuta, è stata aggiunta sopra il manto rosso con una miscela di terre brune diversa dalle altre. Probabilmente inserita per rendere più plausibile la stabilità del tavolo, è difficile dire se sia autografa o intervento altrui».
Particolare della riflettografia IR del «San Girolamo scrivente» di Caravaggio
In merito alla tecnica esecutiva gli studiosi aggiungono: «L’artista ha dato pennellate molto veloci, zigzaganti, a risparmio come usava fare, preparando un fondo molto scuro e schiarendolo con pochi strati di colore. Le analisi confermano la sua enorme sicurezza con pochi mezzi, in un quadro commovente». Mentre «nei pigmenti abbiamo trovato microfossili rinvenuti anche nel “Cavaliere di Malta”. Quei microfossili sono presenti sì nelle bianche sabbie maltesi, ma anche in altre zone mediterranee, come nella vicina Sicilia, per cui non è semplice asserire se il dipinto sia stato eseguito o meno a Malta».

Passando alle analisi, ancora preliminari, sulla «Decollazione», «tela magnificamente restaurata dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze» nel 1996, Amadori e Poldi rilevano «varie tracce di disegno, alcune correzioni e un ridimensionamento della finestra del carcere, in origine un poco più piccola e aggiustata in corso d’opera, probabilmente ai fini della resa prospettica».

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