Edmondo Bacci, amato da Peggy e innamorato di Tiepolo

Alla Collezione Guggenheim l’astrattismo irrequieto dell’artista

«Alba» (1953)  di Edmondo Bacci
Lidia Panzeri |  | Venezia

«Per lui il colore è un conflitto di potenze e la materia vive di questa tensione, sensibile e luminosa»: così scriveva Peggy Guggenheim nella sua prefazione al catalogo della XXIX Biennale Internazionale d’Arte di Venezia del 1958, in occasione della personale dedicata a Edmondo Bacci. Ora l’opera di quest’artista viene rivisitata nella mostra «Edmondo Bacci (1913-78). L’energia della luce» (catalogo Marsilio Arte) in programma alla Collezione Peggy Guggenheim dal primo aprile al 18 settembre, per la cura di Chiara Bertola, già autrice di una sua monografia nel 1992.

Peggy fu folgorata dal linguaggio del colore-luce di Bacci e coinvolse nel suo apprezzamento Alfred Hamilton Barr Jr, direttore del MoMA di New York che nel 1953 acquistò l’opera «Avvenimento #13 R», che in occasione dell’attuale mostra torna in Italia, dove viene esposta al pubblico per la prima volta.
Nel dopoguerra Bacci, pur attento alle novità linguistiche dell’epoca, in particolare all’eredità del Cubismo, persegue, insieme al suo maestro Virgilio Guidi, un’autonomia linguistica imperniata sul «puro costruttivismo lirico».

In contemporanea avverte anche l’urgenza di un impegno sociale: nasce così il ciclo dei «Cantieri» e delle «Fabbriche» con il ricorso al bianco e nero secondo un rigoroso ordine costruttivo. «Profetico, chiosa Bertola. Un’anticipazione di quello che oggi è l’inquinamento atmosferico». Agli anni Cinquanta risale il momento più lirico: la forza generativa del colore è resa con il ritmo circolare della pennellata.

È questo il nucleo centrale della mostra, con le «Albe» del 1953 e con gli «Avvenimenti»: il colore genera uno spazio assoluto, abolisce ogni limite tra superficie e volume per diventare pura materia di luce. Tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta, si assiste a una nuova svolta: da inesauribile e vivace sperimentatore qual era, Bacci recupera i materiali quali si trovano nella realtà: sono i suoi gessi, le sue sagome, le sue carte bruciate, i suoi teatrini (che ricordano Fontana).

«È quest’ultimo aspetto, forse considerato un po’ marginale, che credo possa suggerire spunti ai giovani artisti», aggiunge Chiara Bertola. Occorre inoltre tener presente che la poetica della luce è uno dei cardini della tradizione artistica veneziana. Per Bacci il culmine era raggiunto dalle visioni aeree di Giambattista Tiepolo.

Non a caso sarà esposta la sua tela «Il Giudizio finale» (1730-35 ca), un prestito dalla Fondazione Querini Stampalia. A fine percorso la mostra propone la ricostruzione, per quanto possibile completa, della personale dedicata a Bacci in occasione della citata Biennale di Venezia del 1958.

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