Per una rivisitazione del lavoro di Tàpies

Presentato il catalogo della mostra alla Galleria Gracis: è uno strumento per meglio comprendere l’attualità del maestro spagnolo

Veduta dell’allestimento della mostra «Segno-Memoria-Materia», alla Galleria Gracis. Foto: Fabio Mantegna
Francesca Interlenghi |

È stato presentato ieri 21 marzo, con un dialogo tra Luca Massimo Barbero, Alberto Fiz e Maria Sellarès della Fundació Tàpies, presso la Sagrestia Artistica della Chiesa del Carmine di Milano, il catalogo, edito da Marsilio Arte, della mostra «Segno-Memoria-Materia» che la Galleria Gracis dedica fino al 31 del mese al grande artista Antoni Tàpies (Barcellona, 1923-2012), in occasione del centenario della nascita.

Inquadrato all’interno del macrosistema dell’«Informale», Tàpies è in realtà esponente di una pittura di opposizione, anche rispetto a quella corrente che è stata punto di convergenza di molte esperienze artistiche e che lo ha visto assumere una posizione anomala. «Era uno del suo genere», dice Barbero che ha curato il progetto editoriale, oltre a quello espositivo in galleria. «Questa sua non appartenenza, questa alterità, che è la fierezza docile che lui ha, sono gli elementi su cui ho cercato di lavorare nella lettura di questo autore».

Quello di Tàpies non è un gesto assoluto, ma piuttosto un processo continuativo di ricerca che prosegue per tutta la sua vita e che ci invita a rimettere in moto il nostro modo di guardarlo e di pensarlo. In questo senso il catalogo, che restituisce anche dal punto di vista grafico il linguaggio dell’artista, vuole essere punto di partenza per una rivisitazione del suo lavoro, uno strumento per meglio comprenderne la straordinaria attualità.

Se è vero, come sostiene il curatore, che il compito dell’arte è quello di metterci di fronte al corpo, è altrettanto vero che Tàpies è capace di porci in contatto diretto con gli oggetti, con la materia profonda, empatica, che in qualche modo ha una componente emozionale. «Nella mia intenzione queste immagini non sono mai state un fine a sé. Bisogna considerarle dei trampolini, un mezzo per raggiungere degli oggetti più lontani», si legge nella citazione che apre il catalogo.

«È proprio in questo ritorno a una concretezza rispetto all’oggetto che risiede la sua attualità», chiosa il critico, curatore e giornalista Fiz. «Lo si vede già nel monocromo bianco del 1959, che ha dentro di sé delle impronte. La nostra presenza, la nostra vita».

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