Dopo trent’anni con Silvana Editoriale, Dario Cimorelli si mette in proprio

La sua nuova casa editrice affiancherà la saggistica specialistica ai cataloghi delle mostre, proponendosi di pubblicare un centinaio di titoli l’anno

Dario Cimorelli. Foto di Carlo Spinelli
Arabella Cifani |

Lo scorso novembre, dopo trent’anni alla guida della direzione generale di Silvana Editoriale, la casa editrice della famiglia Pizzi, Dario Cimorelli (Roma, 1964) si è messo in proprio fondando a Milano una casa editrice tutta sua, col suo nome e cognome. L’abbiamo intervistato per conoscere le motivazioni di questo cambiamento.

Come definisce sé stesso?
Sono uno studioso, curatore di mostre, autore di saggi sulla storia della pubblicità e sono un editore. Negli ultimi dieci anni si è aggiunta una terza attività: sono stato chiamato nei consigli di amministrazione di alcuni musei (Diocesano di Milano, Museo Internazionale della Ceramica di Faenza, Camera-Centro Italiano per la Fotografia di Torino e Arte Sella) molto diversi tra loro, mettendo in comune esperienze organizzative, gestionali e progetti.

Perché ha lasciato Silvana?
Ogni storia ha una fine e dopo quasi trent’anni in cui mi sono molto impegnato affinché la casa editrice crescesse e si sviluppasse (ha effettivamente raggiunto la dimensione che mi ero immaginato quando ho iniziato a occuparmene) ho capito che quell’attività era finita e che desideravo affermare un mio progetto.

Quindi una casa editrice che porta il suo nome.
La nuova editrice nasce con una dote, l’esperienza maturata, i progetti e le sfide vinte in questi anni, la conoscenza del settore; vuol trovare il suo spazio nelle arti visive, attenta ai progetti e alla loro qualità, affiancando il più possibile la saggistica specialistica ai cataloghi delle mostre, aprendosi al mercato nazionale e internazionale. Accanto ai libri, la casa editrice opererà nell’organizzazione di mostre, settore in cui ho lavorato prima come curatore e poi come organizzatore e che trovo molto interessante se lo sguardo non include semplicemente la sola mostra ma il disegno e l’ideazione culturale in cui si inserisce; l’altro settore è la costruzione di una scuola di formazione postuniversitaria che costruisca le figure professionali necessarie nel nostro settore. In questi anni sono stato chiamato a far parte di due comitati di indirizzo di due università italiane, comitati che hanno l’obiettivo di cercare un punto di incontro tra l’offerta formativa e le necessità del mercato del lavoro, e questo confronto fa emergere la necessità di costruire un ponte tra domanda e offerta: proveremo a costruirlo. Quanto al nome, nel nostro settore è frequente l’uso di quello proprio, per le case editrici come anche per le gallerie d’arte. È un modo di prendersi carico con responsabilità della propria attività.

Quali saranno i suoi primi titoli?
Sul fronte dei cataloghi di mostre siamo gli editori della grande esposizione del quinto centenario della morte di Perugino alla Galleria Nazionale dell’Umbria, della mostra «L’Arte della Moda 1789-1968» a Forlì e di quelle su Casorati alla Fondazione Magnani Rocca a Mamiano di Traversetolo, su Man Ray a Palazzo Ducale a Genova, su Eve Arnold a Camera a Torino e sul giovane Andriu Deplazes alla Collezione Maramotti di Reggio Emilia. Nel settore della saggistica apriamo la collana «Studi sull’arte» con una monografia su Filippo della Valle e un saggio sulla «Maddalena giacente» di Canova. Prevedo di pubblicare un centinaio di novità ogni anno.

Come vede il futuro dell’editoria d’arte?
Il libro svolge molte funzioni, è un tassello di una memoria collettiva che rende fruibile a tutti. Contribuisce alla valorizzazione dell’arte e delle sue migliori espressioni creative, non soffre crisi ma si trasforma con la presenza di altri media. Occorre capire come si trasforma.

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