Le «sculture intervento» di Staccioli

A cinque anni dalla sua scomparsa, A Arte Invernizzi dedica al grande scultore toscano una mostra accompagnata da una monografia

Una veduta della mostra di Mauro Staccioli presso A Arte Invernizzi
Ada Masoero |  | Milano

Mauro Staccioli (Volterra 1937-Milano 2018) definiva le sue opere «sculture intervento», perché le concepiva sempre in stretta relazione con il contesto: non come opere concluse in sé stesse ma come dispositivi capaci di interagire con lo spazio circostante e di trasformarne le coordinate spaziali e percettive.

Non a caso, Staccioli è stato fra i primi artisti a voler uscire dai luoghi chiusi per scegliere la grande scala degli spazi pubblici, con cui le sue installazioni ingaggiano un dialogo-confronto, che li risignifica.

A cinque anni dalla scomparsa dell’artista, riconosciuto da decenni (non solo in Italia) come uno dei grandi scultori del nostro tempo, e a dieci dall’ultima personale tenuta qui, A arte Invernizzi presenta una selezione di suoi lavori nella mostra «Mauro Staccioli. Scultura come pensiero che trasforma» (dal 9 marzo al 4 maggio). La accompagna una monografia bilingue realizzata per i 25 anni di collaborazione con la galleria, con un testo di Francesca Pola e un ricco materiale iconografico e bibliografico.

Ad accogliere i visitatori è un’opera del 1976, esemplare della sua produzione di quegli anni, al tempo stesso minacciosa e intensamente attraente, fatta com’è di cemento «armato» di una punta di ferro.

Salendo, entra in scena l’acciaio corten, uno dei materiali prediletti, con cui sono forgiate tre serie di lavori, che evocano il grandioso «segno» ascendente creato per il Centro Pecci di Prato e per le Olimpiadi di Seoul, 1988; la mezzaluna in bilico realizzata per il Fridericianum di Kassel, 1988, poi ripensata per le Gallerie d’Italia di Milano, e l’elisse che si rifà all’installazione concepita nel 2009 per Volterra (la città natale, che ha di recente completato il restauro delle sculture monumentali da lui create per il territorio).

Nell’ultima sala, con alcuni disegni, i progetti in corten delle bellissime ogive di «Forme perdute» (oggi nel Museo di arte contemporanea all’aperto di Morterone), esposte nel 2012 qui in galleria, ma allora al piano inferiore, dove ora si trovano sei sculture del ciclo «Sbarra e cemento», in fitto dialogo con le colonne dell’ambiente che le ospita.

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