Emmanuel Anati padre dei Camuni

È grazie all’archeologo che le incisioni rupestri della Valcamonica sono entrate a far parte del Patrimonio dell’Unesco. Secondo lo studioso (93 anni a maggio) qui come in altre parti d’Europa vi è la testimonianza di una grande religione universale

Un particolare delle incisioni rupestri in Valcamonica
Tina Lepri |

L’ultimo libro dell’archeologo e antropologo Emmanuel Anati, 93 anni il prossimo 14 maggio, ha suscitato ancora una volta critiche e consensi negli ambienti scientifici, come già avvenuto per molti dei suoi precedenti 70 volumi tradotti in 20 lingue. Anati è conosciuto per le sue teorie e scoperte innovative su pensiero, testimonianze artistiche e cultura degli uomini della preistoria e dei monumenti rupestri.

In Spiriti di pietra. Menhir, statue menhir e altre immagini dell’Invisibile (150 pp., Atelier Editions, Capo di Ponte-Brescia 2022) Anati elabora una concezione nuova e radicale affermando che: «Questi monumenti preistorici diffusi su gran parte del territorio euroasiatico sono testimoni della prima grande religione universale della quale si abbiano tracce. Dallo studio di tali iconografie emerge la presenza di un culto monoteistico nella Valcamonica e nelle valli circostanti nel cuore dell’Europa, quella di uno spirito che ingloba il cielo e la terra già cinquemila anni fa, assai prima del politeismo dell’Olimpo greco-romano».

Nato a Firenze nel 1930, Anati nel 1952 ottiene la sua prima laurea in Archeologia all’Università di Gerusalemme, poi quella in Antropologia e scienze sociali ad Harvard (Usa), seguita da Etnologia e lettere alla Sorbona di Parigi e in Canada. Ha insegnato Preistoria all’Università di Tel Aviv e a Lecce. Negli anni ’60 iniziano le sue missioni di ricerca, spedizioni e consulenze per conto dell’Unesco e di vari Governi per lo studio di svariati siti preistorici di arte rupestre: i suoi principali interessi riguardano l’arte e le religioni delle culture preistoriche e tribali in vari Paesi del mondo.

La fama internazionale giunge nel 1964 quando scopre l’arte rupestre della Valcamonica, allora quasi sconosciuta, abbandonata e frequentata da pochi studiosi. Apre ai visitatori i parchi archeologici della Valle rivelandone la straordinaria ricchezza e varietà di incisioni rupestri; fonda e tuttora dirige il Centro Camuno di Studi Preistorici a Capo di Ponte, in provincia di Brescia.

Le sue ricerche danno una nuova dimensione alle immagini proponendo inedite relazioni, coinvolgendo centinaia di studiosi e tante università, anche nel nostro Paese e portando i tesori rupestri di quella valle alpina all’attenzione dell’Unesco che nel 1979 l’ha inserita, primo sito italiano, nella Lista del Patrimonio Culturale Mondiale.

Si tratta del più grande ed esteso patrimonio d’Europa d’arte rupestre, distribuito lungo i 120 km della Valcamonica, in oltre 180 località di 24 Comuni tra le Province di Bergamo e Brescia con più di 300mila petroglifi preistorici scolpiti nella roccia nell’arco di circa 8-10mila anni, dal Paleolitico superiore al I millennio a.C. Un’immensa «valle dei segni» da lui studiata per oltre quarant’anni: carri, aratri, animali, buoi, uccelli acquatici, capanne, barche, ma anche danze, miti e magie, oltre a migliaia di simboli ancora da interpretare.

Tra le parti più straordinarie, il Parco Comunale delle incisioni rupestri di Luine, lungo il fiume Oglio, e una spettacolare area con oltre 550 pietre incise su una superficie di 300 ettari. Intanto, nel 1980, Anati conquista fama internazionale. È a capo della missione archeologica italiana nel sud di Israele e lancia al mondo una notizia che cambia il corso dell’archeologia e in parte della stessa storia della religione ebraica. Scopre che la vera montagna sacra descritta dalla Bibbia, il luogo nel quale, secondo la tradizione biblica, Dio si manifestò a Mosè e dettò le Tavole della Legge ponendo le basi della religione ebraica, non è il venerato Monte Sinai, situato in Egitto, ma il monte Har Karkom, in ebraico «Monte Zafferano», 200 km più a nord, all’estremo sud di Israele, nel deserto del Negev.

L’équipe degli archeologi di Anati scoprì a Har Karkom i resti di antichi santuari e luoghi di culto eretti nei millenni da diverse popolazioni, accanto ad altari, circoli di stele, menhir, sepolture e incisioni rupestri. Dalle ricerche emerse anche che l’Esodo degli ebrei dall’Egitto sarebbe avvenuto tra il 2200 e il 2000 a.C. ossia 800 anni prima di quanto creduto finora. La scoperta, destinata a cambiare la storia dell’ebraismo, fu subito osteggiata aspramente dal mondo accademico internazionale: solo di recente è stata accolta da buona parte degli archeologi e dagli stessi biblisti come «molto probabile».

In questi mesi Anati è a Gerusalemme, ma al ritorno si occuperà dell’ampliamento del Museo Nazionale della Preistoria (Mupre, sotto l’egida della direttrice Maria Giuseppina Ruggiero), uno dei dieci della Valcamonica, e dei previsti incontri internazionali per discutere del suo ultimo libro che spiega come l’arte rupestre e i suoi monumenti restano fonte di arte, cultura, visioni: «Il culto di statue menhir e altri spiriti offre lo spessore di un passato sempre presente, di valori e tradizioni che hanno unito generazioni alle tradizioni, alla memoria e alla storia».

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