L’erotismo enigmatico di Guy Bourdin

All’Armani/Silos le forme decostruite e disarticolate di corpi femminili o di manichini conducono l’osservatore in una realtà parallela

Uno scatto di Guy Bourdin per «Vogue Paris», 1970 (particolare)
Ada Masoero |  | Milano

Che il celebre fotografo Guy Bourdin (Parigi, 1928-91) abbia iniziato come pittore, è evidente. Ancor più evidente è che si sia mosso al fianco dei surrealisti, con cui condivideva il gusto per le atmosfere allarmanti e per un tempo sospeso, per le composizioni enigmatiche e spiazzanti e per un erotismo alquanto morboso, quando non «noir»: gambe femminili (il suo feticcio) che camminano staccate dal corpo; figure oscurate o ridotte a ombre, di cui emerge un solo, inquietante dettaglio; volti di donna «cancellati» da una piccola folla di unghie laccate dello stesso rosso infuocato delle labbra, lucidissime anch’esse.

Dal 1951, quando iniziò, da autodidatta, a fotografare, Bourdin fu del resto lungamente amico di Man Ray, ma ammirava anche Edward Hopper e Alfred Hitchcock, narratori anch’essi di una realtà «sur-reale». Altrettanto evidente è che il grande successo raggiunto con la fotografia di moda e pubblicitaria (ambiti per i quali esigeva, e otteneva, la massima libertà creativa) non lo soddisfacesse affatto, sentendosi lui, in primo luogo, un pittore. Tanto che nel 1985 rifiutò il Grand Prix National de la Photographie conferitogli dal Ministero della Cultura francese.

Negli spazi di Armani/Silos, Giorgio Armani e The Guy Bourdin Estate presentano nella mostra «Guy Bourdin. Storyteller» (dal 24 febbraio al 31 agosto) cento immagini fotografiche che puntano sull’accentuazione dei colori saturi (rossi, verdi, rosa), prediletti da Bourdin, sebbene 21 fotografie in bianco e nero mostrino la sua capacità di dominare anche queste cromie sommesse. Le forme decostruite e disarticolate di corpi femminili o di manichini conducono l’osservatore in una realtà parallela o, come nei film di Hitchcock, su una (qui allusa) scena del crimine.

Come dichiara Giorgio Armani, «questa mostra conferma la mia volontà di fare di Armani/Silos un centro di cultura fotografica contemporanea, includendo ciò che è prossimo al mondo Armani, ma anche ciò che ne è lontano. A prima vista, Guy Bourdin non è un autore a me vicino: il suo era un linguaggio netto, grafico, forte. Nella sua opera quel che si percepisce subito, in superficie, è la provocazione, ma quello che mi colpisce, e che ho voluto mettere in risalto, sono piuttosto la sua libertà creativa, la sua capacità narrativa e il suo grande amore per il cinema. Bourdin non seguiva la corrente e non scendeva a compromessi: un tratto nel quale mi riconosco io stesso; credo non ci sia un altro modo per lasciare un segno nell’immaginario collettivo».

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