Jacques Henri Lartigue nel suo intimo

La mostra arriva alla Fondazione Ferrero al termine di una tournée tra Venezia, Milano e Roma. La tappa piemontese si arricchisce di un nucleo di scatti realizzati in regione

«La Baule» (1979), di Jacques-Henri Lartigue. Foto: Jacques Henri Lartigue. © Ministère de la Culture (France), MAP-AAJHL
Maurizio Francesconi |  | Alba (Cn)

Dal 17 febbraio al 30 marzo la Fondazione Ferrero presenta «L’invenzione della felicità» (a cura di Denis Curti, Marion Perceval e Charles-Antoine Revol, catalogo edito da Marsilio Arte), mostra su Jacques Henri Lartigue (1894-1986) realizzata in collaborazione con la Casa dei Tre Oci di Venezia e la Donation Jacques Henri Lartigue di Parigi.

Si tratta della più grande retrospettiva realizzata in Italia sul fotografo francese, che arriva sul territorio piemontese al termine di una tournée tra Venezia, Milano e Roma e che conta 120 immagini a narrare la storia professionale e personale di Lartigue, dai suoi inizi amatoriali fino alla consacrazione (ormai 69enne), nel 1963, con la personale al MoMA di New York a cura di John Szarkowski.

Rispetto alle sedi espositive precedenti, la Fondazione Ferrero ha inserito un nucleo fotografico inedito riguardante le frequentazioni piemontesi di Lartigue e della sua ultima moglie, Florette Ormea, originaria del piccolo borgo di Piozzo (nella valle del fiume Tanaro), dove la coppia trascorre diverse vacanze estive. Gli scatti inediti, concessi in esclusiva dalla Donation Jacques Henri Lartigue, sottolineano il rapporto profondo tra il fotografo, la moglie e il figlio Dany.

Un rapporto familiare intimo presente in tutta la sua produzione che, come racconta il curatore della mostra Denis Curti, porta Richard Avedon a innamorarsi degli scatti del francese perché «per il fotografo statunitense quei fotogrammi riuscivano a trasmettere l’incondizionata dedizione di un padre affettuoso e presente, evidentemente più interessato a prendersi cura della propria famiglia invece di lasciarsi schiacciare dalla pesantezza morale di una società americana schiava dello status symbol economico».

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