Mirdidingkingathi Juwarnda, più nota come Sally Gabori

La Triennale accoglie 30 opere di grandissime dimensioni, provenienti dalla Fondation Cartier, dell’artista aborigena

«Thundi - Big River» (2010), di Sally Gabori (particolare). Sydney, collezione privata. © The Estate of Sally Gabori. © Mark Pokorny
Ada Masoero |  | Milano

Quando fosse nata esattamente, non si sa: intorno al 1924. Quanto al luogo, è la piccola isola Bentinck, sede dei Kaiadilt (gli ultimi aborigeni delle coste australiane a entrare in contatto con gli europei), nel remoto Queensland, Australia del nord. Ciò che è certo è che Mirdidingkingathi Juwarnda, per gli occidentali Sally Gabori, scomparsa nel 2015, nel 1948 fu sradicata dalla sua vita fatta di pesca e di tessitura di fibre, dopo una tragica inondazione che decimò gli abitanti della sua isola.

Portata, con i pochi sopravvissuti, nella vicina isola Mornington, dove c’era una comunità di presbiteriani, fu sistemata con gli adulti in un accampamento, mentre i bambini furono strappati ai genitori e accolti nella missione. Un esilio drammatico, durato fino agli anni Novanta, che però lasciò a Sally Gabori un’eredità impagabile: la conoscenza, seppure superficiale, della tecnica pittorica, appresa in un centro ricreativo di Mornington. Lei seppe svilupparla diventando (ma solo dopo gli 80 anni, una volta rientrata a Bentinck) una pittrice d’incredibile potenza espressiva.

La Fondation Cartier le ha dedicato nei mesi scorsi una fortunata mostra a Parigi, che giunge alla Triennale dal 16 febbraio al 14 maggio: «È una pittura maestosa, la sua, ci dice Grazia Quaroni, direttrice delle collezioni della Fondation Cartier pour l’art contemporain e direttrice esecutiva Partenariato Triennale Milano. In mostra abbiamo 30 opere spettacolari, di grandissime dimensioni che, al di là del fascino della sua storia di profuga ambientale (come diremmo oggi) e dell’antica cultura Kaiadilt di cui era portatrice, colpiscono per la forza e la qualità della pittura.

Nella grande isola Mornington, diverse comunità si mischiarono e la lingua e il sistema di vita autarchico, semplice ma denso, della sua comunità andarono perduti. Oggi, dunque, è importante portare qui la sua voce e rispettare la differenza e la complessità che Sally conservava. È questa, del resto, la missione di Fondation Cartier: portare in Occidente artisti che hanno poco spazio nelle nostre istituzioni
».

Giunti da collezioni pubbliche e private australiane ed europee, i suoi dipinti che sono frutto, continua Quaroni, di un «gesto pittorico impellente ma molto sofisticato, evocano con un’astrazione “parlante” il territorio della sua comunità. Tutti sono stati selezionati con la famiglia (Gabori dipingeva talora con altre donne kaiadilt, membri della sua famiglia, e in mostra figurano tre opere realizzate con sorelle, nipoti, figlie, Ndr), che è stata a Parigi e sarà a Milano.

Il 17 febbraio, alla Triennale, si terrà un dibattito tra Juliette Lecorne, Fondation Cartier, e alcuni di loro mentre, con specialisti della cultura aborigena, abbiamo sviluppato un sito internet approvato dai familiari e abbiamo realizzato una monografia con Nicholas Evans, Bruce Johnson McLean e Judith Ryan, fra i più autorevoli studiosi del settore
».

© Riproduzione riservata
Calendario Mostre
Altri articoli di Ada Masoero