Ricordando Aldo Bassetti: il suo impegno per la Pinacoteca di Brera

Il sodalizio vincente di James Bradburne e del presidente dell’Associazione Amici di Brera dal 2007 al 2020 ha dato frutti straordinari come il progetto della Grande Brera

Aldo Bassetti e James Bradburne
Alessandro Morandotti |

Ci mancherà Aldo Bassetti (1926-2022), la sua passione civile, il suo impegno per la Pinacoteca di Brera in qualità di presidente dell’Associazione Amici di Brera (dal 2007 al 2020). Il dono di 22 opere espressioniste di Mario Mafai eseguite tra il 1939 e il 1944 per denunciare i soprusi del regime fascista, la realizzazione di una sala conferenze tecnologicamente avanzata, sono iniziative che lo hanno visto in prima linea, ma è il sodalizio con il direttore della Pinacoteca e Biblioteca James Bradburne ad averlo particolarmente coinvolto negli anni della presidenza.

I risultati sono stati straordinari e non sempre capiti da una città che vive di mode ed è per questo molto volubile. Bassetti ha costantemente sostenuto Bradburne, uno dei super direttori (a Brera dal 2015) nominati da Franceschini e visti molto spesso con occhi critici, in questo caso non senza pregiudizi. Sono tra quelli che, come Bassetti, ne hanno apprezzato con il tempo la strategia, la capacità di perseguire senza distrazioni un progetto concreto durante il suo mandato.

Un investimento permanente, senza molte concessioni alle occasioni effimere, che ha reso Brera il grande museo che merita di essere. Lentamente, sala per sala, sezione per sezione, il direttore, affiancato dai suoi funzionari e da una serie di storici dell’arte chiamati come consulenti esterni a ridisegnare il percorso del museo, ha rivisto l’allestimento e l’apparato didattico, rinnovato le luci, cambiato i colori alle pareti. Un’opera di buongoverno che non ha molti uguali nella vita dei musei italiani di questi anni.

Acquisita sicurezza, Bradburne, con il sostegno costante di Bassetti, ha messo mano al progetto mai finito della Grande Brera, pianificando nel rinnovato Palazzo Citterio l’allestimento delle collezioni speciali dell’istituzione, dalle raccolte Jesi e Jucker dedicate all’arte del ’900, al piccolo ma prezioso nucleo di opere donate da Lamberto Vitali, insieme caratterizzato da un’estesa linea del tempo con esemplari antichi a fianco di opere di Giorgio Morandi.

Palazzo Citterio, affacciato sull’Orto Botanico di Brera, veniva consegnato al direttore dopo lunghi lavori di restauro e adeguamento coordinati dalla Soprintendenza per i Beni architettonici, senza che fosse mai stato coinvolto nelle decisioni di quello che sarebbe dovuto diventare il conduttore: ben strano che nella prospettiva di un progetto museologico non siano stati in dialogo tutti i protagonisti interessati, vale a dire i coordinatori dei progetti di restauro e la direzione di Brera.

Bradburne, architetto di formazione, in attesa di ricevere il palazzo chiavi in mano, aveva avuto un’idea molto bella, immaginando di collegare gli edifici braidensi e il nuovo palazzo con una passerella coperta, in modo da unire il percorso di visita senza che il pubblico fosse costretto a rimettere il cappotto uscendo dal Palazzo del Piermarini per recarsi 50 metri più in là ed entrare a Palazzo Citterio.

Il direttore immaginava una soluzione sospesa nell’area dell’Orto Botanico, ma si sarebbe potuto realizzare quel collegamento interno sul piano del giardino, con una struttura molto semplice e altrettanto «panoramica», un po’ come quella del Louisiana Museum a nord di Copenaghen. La Soprintendenza alzava il sopracciglio e bocciava quell’idea poco prima che l’edificio fosse consegnato alla direzione di Brera per procedere nel trasferimento delle collezioni. La stessa Soprintendenza che in questi anni, dopo avere autorizzato lo smantellamento dell’allestimento Bbpr della «Pietà» di Michelangelo, ha protetto come segno di quell’antico intervento l’edicola vuota senza avere il coraggio di eliminare l’ormai inutile contenitore; o ancora lo stesso ufficio solerte che ha concesso il permesso di chiudere con i vetri la loggia tardocinquecentesca dell’antico Seminario arcivescovile di Milano, trasformato ora in un albergo di lusso.

Ricevuto Palazzo Citterio nel 2018, Bradburne, non senza inutile clamore alimentato dalla forza mediatica di Philippe Daverio, allora membro del Comitato scientifico della Pinacoteca, bocciava senza appello i lavori di adeguamento e di restauro poco funzionali alle esigenze espositive e di deposito alle quali il palazzo era destinato. Da quel momento una guerra sotterranea tra organi dello Stato, incapaci di sedersi intorno a un tavolo per intessere una trattativa diplomatica e studiare soluzioni e modifiche necessarie senza conflitto, ha rallentato il progetto della Grande Brera, di cui in rete si può vedere il rendering del 2019, Brera Modern, di fronte al quale non si può che apprezzare quanto Bradburne e la sua squadra hanno previsto per Palazzo Citterio. Questa ferita va sanata al più presto, anche se con enorme ritardo, visto che Milano e le sue istituzioni non meritano questa resa. L’inaugurazione sarebbe un dovuto omaggio postumo a chi come Aldo Bassetti ha sempre creduto a questa realizzazione.

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