La rivoluzione di Ming Smith

Quarantaquattro anni dopo la prima esposizione di una sua fotografia, l’afroamericana torna al MoMA

«African Burial Ground, Sacred Space», una fotografia della serie «Invisible Man» (1991) di Ming Smith
Gilda Bruno |  | New York

Poche donne hanno rivoluzionato la fotografia come Ming Smith (Detroit, 1950), prima fotografa afroamericana ad avere il proprio lavoro esposto nella collezione permanente del MoMA di New York nel 1979. Tra le istituzioni che, soprattutto sotto la guida di John Szarkowski (direttore del dipartimento di fotografia dal 1962 al 1991), contribuirono a elevare il mezzo fotografico, da strumento di documentazione subordinato alla pittura a pratica artistica autonoma, il museo d’arte moderna, situato nel cuore di Manhattan, riconobbe l’unicità del talento di Smith sin dagli esordi della sua carriera.

Quarantaquattro anni dopo, la fotografa statunitense torna al MoMA con «Projects: Ming Smith»: retrospettiva volta a evidenziare come la sua sperimentazione «trasformi l’immagine da documento visivo a spazio di espressione emotiva», si legge nel comunicato stampa rilasciato in occasione dell’apertura della mostra.

Allestita dal 4 febbraio al 29 maggio e curata da Thelma Golden, direttrice e capo curatrice presso lo Studio Museum di Harlem, e Oluremi C. Onabanjo, curatrice associata del dipartimento di fotografia del MoMA, la personale dimostra come l’artista «continui a influenzare innumerevoli fotografi attraverso la sua singolare documentazione dell’esperienza umana e dello sfarzo della società contemporanea», spiega Golden.

Tra le opere in mostra spiccano i coinvolgenti ritratti realizzati da Smith nella scena creativa black di fine XX secolo e la sua resa vibrante della vita ad Harlem e Pittsburgh: due località cardine per lo sviluppo della cultura e dell’attivismo politico afroamericani.

«Per Ming Smith la fotografia è un luogo in cui i sensi e lo spirito si scontrano, racconta Onabanjo. Richiamando l’attenzione sulla gamma sinestetica del suo approccio fotografico, la mostra invita a prestare attenzione alla tonalità del suono, al ritmo della forma e alla consistenza della visione».

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