Non basta l’erudizione, l’arte deve scuotere i sensi

«Il beato Stanislao Kostka morente», scultura di Pierre Le Gros il Giovane, è la protagonista di un’esperienza epifanica in Sant’Andrea al Quirinale a Roma

«Il beato Stanislao Kostka morente» (1703) di Pierre Le Gros il Giovane
Maichol Clemente |

«Quando il godimento precede la vista chiara e distinta delle perfezioni dell’oggetto che ci colpisce, io convengo che quest’oggetto ci piace perché ci fa piacere o in conseguenza del piacere di cui ci ha prevenuti. È il modo attraverso cui gli oggetti sensibili ci sollecitano ad amarli, si fanno sentire prima di farsi conoscere […]. Entrano così nel cuore approfittando delle tenebre». Sono parole di Yves-Marie André (1675-1764), meglio noto come le Père André, gesuita ed erudito francese del ’700, autore tra l’altro del Saggio sul Bello (1741) da cui ho tratto il virgolettato in apertura.

Può accadere che prima della mente le opere (perché di queste qui si scrive) tocchino corde meno definibili, più legate ai sentimenti, che albergano, così almeno fantastichiamo, dalle parti del cuore. Andare nuovamente a Sant’Andrea al Quirinale a Roma mi ha dato modo di riflettere sulla veridicità di tale assunto. Tra la prima volta che vi entrai e l’ultima (nel dicembre scorso) è passato più di un decennio. Era infatti il 2008 e si era in città in viaggio universitario per visitare la mostra di Bellini alle Scuderie del Quirinale.

Chi ci accompagnava volle che vedessimo quell’esposizione per ben tre volte. Aveva ragione: Bellini, il gran patriarca della pittura veneziana, non si può affrontare in due ore scarse. Dopo l’ultimo pomeriggio in quelle sale, usciti sul piazzale antistante, con il cielo ancora rischiarato, fummo portati nella vicina Sant’Andrea, la chiesa edificata nel secondo Seicento su progetto di Gian Lorenzo Bernini.

Bene l’architettura e le pale d’altare, ma ciò che più premeva al nostro docente era di suscitare in noi qualcosa d’altro. Passato un andito. Salite poche scale. Eccoci in una stanza, messi in fila davanti a una porta che conduceva a un altro ambiente che conduceva a sua volta a un’ultima stanza. Laggiù, nella penombra, si notava una figura distesa di nero vestita. L’ordine, a ognuno di noi impartito sottovoce, era di avviarci in solitudine verso quella presenza con passo lento, senza fretta. Nel silenzio si doveva percepire solo il nostro respiro.

Fu così che, in un’epifania di emozioni che ancor oggi ricordo sconquassante, scoprii «Il beato Stanislao Kostka morente» (1703) dello scultore francese Pierre Le Gros il Giovane (1666-1719). E all’epoca, a differenza di oggi, nulla sapevo relativamente alla sua commissione o alle peculiarità linguistiche del suo autore. Ed è per questo che all’utilità dell’erudizione son sempre più convinto debba precedere, succedere o accompagnarsi «il compiacimento de’ sensi e il diletto delle passioni».

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