Le 15mila pitture rupestri di Tassili N’Ajjer in Algeria

Nel grande altopiano nel Sud-Est del Sahara algerino, vicino al confine con la Libia , sorge uno tra i pochi siti della Lista del Patrimonio mondiale dell’Unesco iscritti come siti «misti», per i loro valori naturali come per quelli culturali

Figure a «testa rotonda», tra il 7500 e il 5000 a.C.
Francesco Bandarin |

Il Tassili N’Ajjer è un grande altopiano nel Sud-Est del Sahara algerino, vicino al confine con la Libia, tra i pochi siti della Lista del Patrimonio mondiale dell’Unesco iscritti come siti «misti», per i loro valori naturali come per quelli culturali. Il massiccio del Tassili è uno dei siti desertici più spettacolari del mondo, con formazioni geologiche prodotte da milioni di anni di attività erosiva, tra cui si trovano oltre 300 archi naturali, profondi canyon, immense pianure rocciose nelle quali sorgono delle vere e proprie «foreste» di monoliti, punteggiate da grandi depressioni (le «guelta») che si riempiono di acqua occasionalmente nel corso di grandi tempeste.

La forte erosione delle rocce è stata accelerata dalle grandi variazioni di temperatura tra il giorno e la notte, che possono arrivare fino a 50 gradi, e portare alla spaccatura e anche alla polverizzazione delle arenarie, un fenomeno chiamato crioclastia. L’altopiano si trova a circa mille metri di altezza, copre un’area di oltre 72mila chilometri quadrati che è compresa all’interno di un parco nazionale, il Parco culturale del Tassili, e ha il suo punto più elevato nell’Adrar Afao, a 2.158 metri. Questo paesaggio, oggi desertico, ha visto nel corso degli ultimi 10mila anni grandi variazioni, passando da un clima tropicale a uno temperato e poi a una fase sempre più arida, fino alla completa desertificazione.
«Foreste» di monoliti nel deserto di Tassili N’Ajjer
In molte zone del Tassili si trovano esemplari della fauna e flora che hanno abitato la zona per migliaia di anni, quando il clima era umido e temperato. Ad esempio sopravvivono ancora, vicino alle «guelta», il mirto e il cipresso del Tassili («taraout»), oltre ad alcuni esemplari di muflone, di pesci e di gamberi. Nel 1924 furono scoperti addirittura alcuni coccodrilli, vere e proprie reliquie dell’epoca in cui il clima dell’area era di tipo subtropicale. Ma al di là di questi importanti aspetti naturalistici, il Parco Nazionale del Tassili è famoso per essere uno dei siti più ricchi di pitture e incisioni rupestri del Sahara, accanto ai siti rupestri del Sud oranese, del Téneré in Niger e del Tadrart Acacus nel Fezzan in Libia.

Ben 15mila sono le pitture rupestri fino ad ora identificate, appartenenti al periodo umido e temperato, tra il 10000 e il 2000 a.C., quando ebbe inizio il processo di desertificazione, quasi tutte dipinte su pareti interne a cavità create dall’erosione dell’arenaria e protette dalle rientranze della roccia. Al periodo arcaico, quando il clima era di carattere tropicale e la zona era abitata da cacciatori raccoglitori, risalgono le immagini di grandi mammiferi africani e scene di caccia.
La figura della «Dea Cornuta», tra 7500 e il 5000 a.C.
Nel periodo successivo, compreso tra il 7500 e il 5000 a.C., compaiono le famose figure a «testa rotonda», caratterizzate da volti e corpi senza forma, probabilmente anch’esse realizzate da popolazioni di cacciatori raccoglitori. Queste figure sono tra le più grandi rappresentazioni del Neolitico mai ritrovate: alcune hanno una dimensione di oltre cinque metri. Gli animali rappresentati sono le antilopi e il muflone, ma non ci sono scene di caccia, il che ha fatto pensare che queste immagini siano connesse a rituali e celebrazioni di carattere religioso. Una figura di questo periodo, che ha attirato l’attenzione degli archeologi, è quella della «Dea Cornuta», considerata un esempio della sacralità femminile africana, connessa alla fertilità e alla natura.

Il periodo successivo, chiamato bovidico o pastorale (5000-4000 a.C.), coincide con la fase di clima temperato, durante la quale in questa zona si affermò un modello di vita legata al nomadismo pastorale. Le immagini di questo periodo hanno stili molto diversi tra loro, a prova del fatto che popolazioni di cultura differente convivevano nella regione. Le rappresentazioni pittoriche riguardano soprattutto animali allevati, quali buoi, pecore, capre e anche cani, oltre a figure di uomini, donne e bambini. Nel periodo successivo, detto del Cavallo (dal 2000 a.C. all’inizio della nostra era), che corrisponde al graduale processo di desertificazione del Sahara e alla necessità di introdurre nuovi mezzi di trasporto, appaiono nuove immagini, come carri tirati da cavalli, asini e buoi, o cavalieri al galoppo intenti alla caccia. Si sono trovate anche iscrizioni in caratteri usati dagli antichi popoli berberi.
Arte rupestre del periodo bovidico (5000-4000 a.C.)
Infine, l’ultimo periodo, dal Mille a.C. fino ad oggi, corrisponde alla completa desertificazione del Sahara, con l’arrivo del cammello e lo sviluppo delle grandi rotte commerciali transahariane per il trasporto di sale, merci e schiavi. Le rappresentazioni sono molto più schematiche e riguardano uomini a cavallo o a piedi, con scudi, lance e spade. La scoperta e la diffusione in occidente delle pitture rupestri del Tassili sono legate all’archeologo francese Henri Lothe (1903-91), che aveva esplorato la zona fin dal 1935.

Dopo la seconda guerra mondiale, Lothe realizzò un rilievo grafico e fotografico completo delle pitture, che vennero presentate al pubblico nel 1957 al Musée des Arts décoratifs di Parigi, in una esposizione che André Malraux (1901-76), più tardi divenuto ministro della Cultura nel Governo del generale De Gaulle, considerò come una delle più importanti del secolo. Anche se oggi l’attività di Lothe è criticata in quanto piena di errori e di interpretazioni fallaci, resta a lui il merito di aver fatto conoscere al mondo una delle più affascinanti sequenze pittoriche della preistoria.

Francesco Bandarin è stato direttore del Centro del Patrimonio Mondiale e vicedirettore generale per la Cultura dell’Unesco dal 2000 al 2018

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