A memoria di mercante

Due autobiografie raccontano vita e avventure di due dealer, Anthony Speelman e Flavia Ormond

«Cristo Redentore benedicente» (1505-06) di Raffaello Sanzio (particolare), Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo
David Ekserdjian |

Nella storia dell’arte il confronto tra due opere è uno dei mezzi più potenti per comprenderle appieno: scorgere analogie e differenze aiuta a guardarle in maniera più approfondita. Nel caso di due libri autobiografici pubblicati di recente, la professione che i loro autori hanno scelto (o forse, meglio che il destino ha scelto per loro) è la stessa, sebbene la loro vita e il modo di raccontarla si rivelino del tutto differenti. Molti hanno temuto che dopo la Brexit Londra non fosse più capace di mantenere il primato sul mercato europeo dell’arte, ma per il momento sembra essere abbastanza in robusta salute.

Ciò significa che essere mercante d’arte a Londra è un privilegio e non deve sorprendere se questi due autori non siano gli unici del mestiere ad aver scritto le loro memorie: il volume di Alex Wengraf Memories of a London Fine Art Dealer usciva nel 2020, mentre la ristampa di Grazie per la gita in calesse (Memorie di un ebreo ottomano) di Victor Eskenazi (224 pp., Allemandi), che divideva la sua attività antiquariale tra Milano e Londra, risale al 2018. Forse è inevitabile che la carriera di questi mercanti si collochi nel momento in cui si sono guardati allo specchio (complice forse anche il Covid-19), perché durante gli anni cruciali della loro vita non avrebbero mai trovato il tempo di scrivere.

Anthony Speelman nella sua Storia tra due scimmie. Avventure nel mondo dell’arte (A Tale of Two Monkeys. Adventures in the Art World, 200 pp., Paul Holberton, 2022) rivela di essere nato già «dealer». Il padre Edward aveva una galleria molto importante di dipinti di Antichi Maestri olandesi del Seicento, e la madre aveva lavorato per lui nella sua galleria. Figlio unico, Speelman senior lo portava da ragazzo alla National Gallery dove, annoiandosi, sognava di giocare a cricket. Ha dovuto aspettare i 16 anni per conoscere ciò che lui chiama il suo «momento di epifania», avvenuto a Brescia nella Pinacoteca Tosio Martinengo, inaspettatamente davanti al «Cristo Redentore benedicente» di Raffaello e non davanti a qualche Rembrandt o a Vermeer.

Per il resto la vita di questo mercante d’arte, che continua ad abitare nella casa dei genitori, prosegue tranquillamente (fatta eccezione per la visita in galleria di sgraditi ospiti), ma ciò che colpisce è la straordinaria qualità dei quadri che Speelman padre e figlio hanno venduto attraverso i decenni (molti illustrati nel volume), soprattutto a collezionisti illustri come Harold Samuel, Bob Smith e Norton Simon.

In questo contesto non è una fantasia che il passato sia stato un’età d’oro. Il titolo del suo libro allude al famoso romanzo A Tale of Two Cities di Charles Dickens e, benché la sua narrazione sia perlopiù focalizzata sulla vita professionale, un episodio della sua vita privata fa irruzione nel racconto. Avendo già condiviso con il lettore la passione per le corse dei cavalli, Speelman racconta di aver investito 32 dollari in scommesse nel 1986 in California, insieme con un amico altrettanto appassionato di corse, nel tentativo di indovinare tutti e nove i vincitori del giorno. A fine giornata ambedue scoprirono di possedere due degli unici tre biglietti vincitori ricevendo, al netto delle imposte, rispettivamente 813,033 e 852,20 dollari.

Inoltre, il titolo del volume allude a un altro capitolo della sua vita, quando nel 1971 riuscì ad acquistare per 3.800 sterline un dipinto sporchissimo di George Stubbs, firmato e datato 1774, ma considerato come una replica della versione (più tarda e inferiore, ma ugualmente autografa) alla Walker Art Gallery di Liverpool, decidendo poi di tenerlo per la propria collezione privata.

Verso l’inizio del suo affascinante e intimo Pietre miliari. Una vita di arte e avventura (Stepping Stones. A Life of Art and Adventure, 176 pp., Unicorn, 2023), Flavia Ormond ci informa che, nonostante un’esistenza peripatetica («Ora, ovunque vado, mi sento straniera»), nella sua vita è sempre stata presente una componente familiare molto forte. Ormond discende da varie famiglie illustri, tra cui gli Agnew, notissimi mercanti d’arte, e per di più lo zio materno fu Peter Chance, capo di Christie’s dal 1958 al 1974.

Le prime 60 pagine del suo libro riguardano i suoi antenati e solo verso pagina 100 arriva a parlare del Courtauld Institute ancora studentessa dopo la laurea. Il suo professore più influente al Courtauld non fu il direttore (e spia) Anthony Blunt, bensì John Shearman, genio non sempre dal carattere facile, che racconta che a Roma, anni dopo i suoi studi, è stato simpaticissimo leggere i libri di Asterix ai suoi figli. Per Flavia Ormond il mestiere di mercante d’arte rappresenta solo un capitolo nella sua vita movimentata e ricca di viaggi esotici.

Dopo molti anni trascorsi a Roma con il marito John e i due figli (dalla fine degli anni ’60 fino al 1984), di nuovo a Londra ha deciso di diventare mercante d’arte (il capitolo Flavia Ormond Fine Arts inizia solo a p. 145 del libro) specializzandosi in disegni antichi, un campo molto particolare in cui, rispetto al mondo dei dipinti, i clienti sono forse meno miliardari ma veri e propri conoscitori.

Stranamente non tutti i disegni più belli sono opera di artisti considerati di prim’ordine e molte volte bisogna avere un occhio raffinato come quello di Flavia. L’epilogo di questo volume ci informa che nel gennaio 2021 e dopo quasi 53 anni di matrimonio, John Ormond si è spento. Per Flavia, invece, anche se non lo dice, ci saranno «novelli boschi e campi nuovi» da esplorare, per usare le parole di John Milton.

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