Von Goldschmidt-Rothschild: una mostra imbarazzante

Ricostruita la vergognosa vicenda che portò alla dispersione della celebre collezione: il Museum Angewandte Kunst potrà continuare a esistere?

Coppa con coperchio in argento, argento dorato e smalto della manifattura di Hans Greiff (1470 ca) a Ingolstadt, in Baviera, New York, The Metropolitan Museum of Art. Collezione G-R
Francesca Petretto |  | Francoforte

La capitale europea della finanza ospita, dal 28 gennaio al 4 giugno al Museum Angewandte Kunst, una mostra piuttosto imbarazzante per la sua comunità. «La Collezione Maximilian von Goldschmidt-Rothschild» tematizza infatti la peggiore delle stagioni passate della grande, fiorente città che vantava una ricca comunità ebraica spazzata via dalla furia antisemita del Terzo Reich.

La rassegna, curata da Katharina Weiler e Matthias Wagner-K, è di particolare rilevanza storica, artistica e culturale perché oltre a esporre, per la prima volta tutti insieme, buona parte dei pezzi della celeberrima collezione di Maximilian von Goldschmidt-Rothschild, riportati per l’occasione a Francoforte dai quattro angoli del globo, fa luce sul vergognoso traffico di opere d’arte estorte dal regime nazifascista a proprietari e artisti ebrei durante la Shoah (la famigerata «Raubkunst») e sulla doppia morale di molti tedeschi tanto all’epoca di quelle persecuzioni quanto ancora oggi, laddove musei e privati oppongono ancora resistenza alle loro restituzioni.

Filantropo, intellettuale e mecenate, Maximilian von Goldschmidt-Rothschild (1843-1940) possedeva l’omonima collezione composta da oltre 1.500 pezzi tra dipinti, sculture, mobili Luigi XV, miniature, arazzi, argenti, porcellane, vetri smaltati, arte rinascimentale e orientale e un patrimonio superiore a quello del suo stesso Kaiser che l’aveva nominato barone, unico cittadino ebreo nella storia prussiana.

La mostra racconta la vergognosa acquisizione di quella collezione da parte della Città di Francoforte nel 1938, spartita tra i musei d’Arte applicata, lo Städel (che ricevette i dipinti) e il Liebieghaus (cui andarono le sculture), il mercato nero internazionale dei pezzi più pregiati che ne facevano parte e la storia delle combattute restituzioni ai legittimi eredi dopo il 1945, alle quali inizialmente la città di Francoforte e i direttori dei musei rimasti in carica anche dopo il nazionalsocialismo si opposero con veemenza.

Solo all’inizio del 1949 i musei restituirono finalmente gran parte degli oggetti d’arte nel corso di un accordo tra gli eredi e la Città di Francoforte. Nel 1950, molti oggetti furono venduti in due grandi aste a New York e successivamente dispersi in musei e collezioni private di tutto il mondo da mercanti d’arte americani. Nella mostra viene coraggiosamente messa in discussione l’esistenza stessa del museo ospitante, noti gli eventi che portarono al suo fiorire negli anni più bui di una Germania troppo a lungo spalleggiata, anche in questo, dalla comunità internazionale.

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