Perché il moltiplicarsi dei miliardari sosterrà le case d’asta

I super ricchi ora sono 2.688: si calcola che con la loro morte finiranno all’asta almeno due collezioni all’anno da 500 milioni di dollari

Un momento dell’asta «Visionary: The Paul G. Allen Collection» che si è tenuta a New York da Christie’s il 9 e 10 novembre. Cortesia di Christie’s
Scott Reyburn |

Ai livelli più alti del commercio internazionale di opere d’arte, la storica vendita, tenutasi a New York il 9 e 10 novembre, della collezione del cofondatore di Microsoft Paul G. Allen, prima asta d’arte con un fatturato a 10 cifre (oltre 1,6 miliardi di dollari), è ovviamente un evento di grande importanza. Vasti settori dell’economia globale possono essere colpiti da recessione e inflazione e i mercati azionari volgere al ribasso, ma il successo della vendita Allen dimostra ancora una volta che l’arte delle opere blue-chip ha un’incoraggiante «bassa correlazione» con altre categorie di attività. Peraltro tutti i proventi saranno destinati a cause filantropiche. Che cosa c’è di strano?

La «più eccezionale asta d’arte della storia» di Christie’s arriva appena sei mesi dopo la vendita da 922 milioni di dollari della collezione di Harry e Linda Macklowe da parte di Sotheby’s, che all’epoca era stata a sua volta definita la più eccezionale asta d’arte della storia Josh Baer, onnisciente insider del mondo dell’arte, ha dichiarato in una sua recente newsletter The Baer Faxt (thebaerfast.com) che ci sono ben «25 collezioni» della portata di quella dei Macklowe che potrebbero arrivare sul mercato nei prossimi tre-dieci anni e «creare lo stesso impatto».

La migliore della classe
Chi abbia visto la recente mostra della Collezione Morozov alla Fondation Louis Vuitton di Parigi, o anche la Phillips Collection di Washington, la Barnes Foundation di Filadelfia o la Courtauld Gallery di Londra, ha un’idea di che cosa sia una vera grande collezione di dipinti impressionisti e moderni. La collezione Allen è davvero di quel livello?

«È la migliore della classe», afferma Neal Meltzer, un consulente d’arte newyorkese che lavorava da Christie’s negli anni Novanta quando Allen iniziò ad acquistare opere famose, a partire, nel 1992, da «Le bassin aux nymphéas» (1919) di Monet pagato 11 milioni di dollari. «Era un collezionista molto americano, aggiunge Meltzer. Ha vissuto una vita da rockstar accumulando i beni migliori», riferendosi all’acquisto da parte di Allen, oltre che di opere d’arte multimilionarie, di un superyacht di 414 piedi (126 metri), di cimeli pop come la chitarra suonata da Jimi Hendrix a Woodstock e della squadra di football dei Seattle Seahawks.

Per Meltzer non ha molto senso paragonare le collezioni d’arte messe insieme dai miliardari del boom come Allen con quelle formate all’inizio del Novecento: «Non c’era la stessa disponibilità di materiale, osserva. Le loro opportunità erano più limitate. Era diverso». È vero. Ma dal 1992 al 2006, periodo in cui Allen ha collezionato più attivamente, sono state messe sul mercato (all’asta o offerte da privati) grandi opere d’arte. Certo, «Les Poseuses, Ensemble (Petite version)» (1888) di Seurat, che con 149,2 milioni di dollari ha fatto registrare il record dell’artista, e «Large Interior, W11 (after Watteau)» (1981-83) di Lucian Freud, aggiudicato per 75 milioni di dollari, anche questo un record, sono veri e propri capolavori.

E il «Mont Sainte-Victoire» di Cézanne del 1890 (137,7 milioni di dollari) è un gioiello di quella famosa serie. Ma dove sono il grande Picasso del periodo blu o del Cubismo analitico? O i «dripping» di Pollock? O il grande trittico di Bacon? In termini di rapporto tra qualità e quantità, la collezione Allen impallidisce rispetto ai sette capolavori impressionisti e postimpressionisti della storica vendita Goldschmidt di Sotheby’s del 1958, in occasione della quale Paul Mellon pagò la cifra record di 616mila dollari per il «Ragazzo con il gilet rosso» di Cézanne (1888-90).

«In tutta la storia non era mai stata venduta una serie di opere così costose in un’unica asta», scrisse Gerald Reitlinger in The Economics of Tastes, il suo studio del 1961 sul mercato dell’arte divenuto un classico. Oggi però l’inflazione ha trasformato la collezione Allen nell’asta più costosa della storia. Nel 1992 al mondo c’erano 275 miliardari; oggi, secondo «Forbes», ce ne sono 2.668. Questi miliardari «valgono» complessivamente 12.700 miliardi di dollari. Nel loro documento del 2020, The Rise of Income and Wealth Inequality in America, gli storici dell’economia Emmanuel Saez e Gabriel Zucman affermano che il periodo dal 1980 al 2020 è stato per gli Usa, «un’era di straordinaria accumulazione di ricchezza tra i ricchi».

Affare fatto prima dell’asta
Questa circostanza ha fatto lievitare il prezzo delle opere di primissimo livello. Così come l’uso di garanzie finanziarie da parte delle case d’asta per assicurarsi conferimenti di prestigio come la collezione Allen. Grazie a questi meccanismi, per tutte le opere di Allen la vendita era certa. «Vendite eccezionali come questa continueranno a stimolare il mercato e a dargli fiducia», sottolinea Philip Hoffman, fondatore del Fine Art Group, società di consulenza e finanza d’arte con sede a Londra.

Come molti addetti ai lavori ben introdotti, Hoffman sostiene che quando competono fra loro per ottenere la consegna di collezioni importanti, Sotheby’s e Christie’s offrono al proprietario un totale d’asta garantito. Quest’enorme quantità di denaro è a sua volta garantita dal proprietario della casa d’aste, vale a dire François Pinault o Patrick Drahi. Una volta aggiudicatosi l’affare, la casa d’aste cerca di vendere il maggior numero possibile di garanzie individuali a finanziatori disponibili, come il Fine Art Group, che guadagnano una percentuale sulle offerte superiori al prezzo minimo concordato per quel lotto specifico.

Le vendite di successo oggi sono affari già conclusi prima dell’asta. Le opere sono state effettivamente vendute due volte prima dell’asta. Gli offerenti non competono solo per i dipinti, fanno offerte per i derivati finanziari. Quando, come nel caso della collezione Allen, i proventi vengono convertiti in donazioni filantropiche, per i ricchi è più interessante vendere le opere all’asta anziché regalarle a un museo.

Entrambi i tipi di donazione possono essere compensati dalle imposte di successione negli Stati Uniti, ma, come fa notare Doug Woodham, managing partner di Art Fiduciary Advisors con sede a New York, la compensazione tende a essere molto più sostanziale se le opere venfono vendute all’asta. «Ai miei clienti chiedo se vogliono essere filantropi con le opere stesse o con il loro valore. Sono sempre più restii a donare opere d’arte», afferma Woodham.

Le opere donate ai musei sono valutate da periti indipendenti a un tasso di «mercato equo», piuttosto che ai valori gonfiati dalle garanzie e dalle offerte competitive di un’asta. «I clienti temono anche che le loro opere finiscano nei sotterranei dei musei e non vengano esposte abbastanza spesso», aggiunge.

Negli ultimi anni i collezionisti più anziani della cosiddetta «Greatest Generation», nati prima del 1927, come Stefan Edlis e «Moo» e «Hunk» Anderson, hanno donato alcune delle loro opere più importanti a musei statunitensi. Al pari di Duncan Phillips e di Albert Barnes (che acquistarono la versione grande delle «Poseuses, Ensemble» di Seurat, oltre a più di 60 Cézanne), volevano che la loro arte fosse fruita da un pubblico più vasto possibile. Ma molti ricchi collezionisti nati dopo la seconda guerra mondiale, come Allen, scomparso nel 2018, sembrano pensarla diversamente.

Il Seattle Art Museum ha dichiarato a «The Art Newspaper», la nostra testata partner in lingua inglese, di essere «grato per la collaborazione di Paul Allen e della Allen Family Collection che hanno condiviso [con i nostri visitatori] alcune delle straordinarie opere delle loro collezioni prestandole nelle mostre nel corso degli anni», ma non ha potuto affermare di aver ricevuto in dono alcun dipinto. E nemmeno il Portland Art Museum.

Questa è una buona notizia per le case d’asta internazionali. Se, come ipotizza Baer, verranno messe in vendita almeno 20 collezioni d’arte private del valore di almeno 500 milioni di dollari ciascuna, ciò potrebbe significare che praticamente per due volte all’anno la stagione delle aste di New York per i prossimi dieci anni sarà caratterizzata da collezioni blockbuster in grado di stimolare il mercato.

Milioni di persone in tutto il mondo guarderanno queste aste online, affascinate da quello che il filosofo francese Roland Barthes, nel suo celebre saggio del 1957 Il mondo del catch, ha definito «uno spettacolo eccessivo». Il successo garantito della collezione Allen e di quelle che seguiranno, proprio come la vendita di 450,3 milioni di dollari del «Salvator Mundi» di Leonardo nel 2017, sarà celebrato nella sala d’asta con applausi entusiastici. Ma a che cosa, esattamente, si applaude?

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