Tutmania

Quanto ha contribuito al sogno universale dell’Egitto antico e al fascino dell’archeologia la strabiliante scoperta della tomba del faraone morto giovinetto

Una delle celebri fotografie (originariamente in bianco e nero) di Harry Burton che documenta l’interno della tomba di Tut con gli oggetti accatastati contro la parete ovest dell’anticamera (Luxor, 1922) © Griffith Institute, University of Oxford
Marco Riccòmini |

Quando cent’anni fa Howard Carter, sbirciando da un foro aperto nella parete di calcare che celava l’ingresso alla Tomba di Tutankhamon, pronunciò la famosa frase «vedo cose meravigliose», i tempi non erano ancora maturi per uno scatto da influencer. Oggi le cose sarebbero andate diversamente. Anzitutto, davanti a uno spettacolo di disordine che ricordava il «magazzino degli oggetti di scena di un teatro dell’opera» (per usare le parole del celebre archeologo), avrebbe chiamato Marie Kondo.

Immagino la telefonata: pronto, Marie? Sono Carter; no, non l’ex presidente, quell’altro... Chiamo dall’Egitto. Sì, proprio l’Egitto, in Africa. No, non per modo di dire. Mi ascolti: qui c’è una confusione infernale, tutto sottosopra, non riuscirebbe a fare un salto? Questo perché un conto è la popolarità che Carter (l’egittologo) raggiunse dopo la scoperta, e un conto sono i 6 milioni di copie vendute del volume Il magico potere del riordino: il metodo giapponese che trasforma i vostri spazi e la vostra vita di Marie Kondo. Non le rimborsano il biglietto aereo, avrebbe poi commentato a denti stretti, dopo un consulto col suo finanziatore, Lord Carnarvon.

Piano B, avrebbe detto ai suoi, rimboccandosi le maniche: un consulto in videochiamata con l’italiana Giulia Torelli, closet organiser. Ci penserà lei a sistemare tutta questa roba. Carter, ci scusi, ma non ha visto il video su TikTok dove dice peste e corna dei vecchi? Se sapesse che questo ha tremila anni... Ah, già, dimenticavo (Alzheimer?). Eppure l’Egitto da sempre ha un fascino senza età. «La vie est vaine. Un peu d’amour, Un peu de haine, Et puis bonjour. La vie est brève. Un peu d’espoir, Un peu de rêve, Et puis bonsoir» («La vita è inutile. Un po’ d’amore, un po’ di odio, e poi buongiorno. La vita è breve. Un po’ di speranza, un po’ di sogno, e poi buonasera»), canticchiava tra sé e sé Hercule Poirot, facendo roteare il bastone di bambù in Assassinio sul Nilo (1937) sulle note (e questo lo aggiungo io) del «Tutankhamun Rag» di Billy Jones & Ernest Hare (1923).

Ma Agatha Christie, diciamocelo, avrebbe ambientato tutte le sue ammazzatine sul Nilo se Carter (non il meno celebre ma più spassoso detective Nick) non avesse scoperto quella tomba a Luxor? Probabilmente no, come molte altre cose che, invece, cambiarono il corso della nostra storia, soprattutto quella visiva (tipo la serie di film «La Mummia», a cominciare da quello del 1932 di Karl Freund fino ad arrivare a quelli recentissimi, tra i quali anche «The Skorpion King»).

E così, anche oggi, a cento anni esatti dalla scoperta dell’ultima tomba nella Valle dei Re, si fa a gara a celebrarne la memoria. Sperando che «salire sul carro del vincitore» porti fortuna (ma dimenticando che, nella tomba di «Old King Tut», Carter il carro lo trovò smontato pezzo a pezzo...). A cominciare dal volume di Christina Riggs Vedo cose meravigliose. Come la tomba di Tutankhamon ha plasmato cento anni di storia che, con piglio autobiografico (un po’ troppo Midwest, un po’ troppo poco Luxor), narra prima della scoperta poi di quel che accadde dopo. O del volume di Valentina Santini dal titolo originalissimo I segreti di Tutankhamon. Storia di un faraone tra mito e realtà.

Per non dire dei sequel, tra il tragico (trash?) e il comico, di mostre un po’ «son et lumière» a cavalcare la Tutmania che si strombazzano di qua e di là dalle Alpi. Tipo, tenetevi forte, «1922 Tutankhamon 100 anni di misteri 2022» («una mostra inedita mai vista prima» a Venezia, Palazzo Zaguri, dal 29 ottobre) o la meno scontata (ma non nel biglietto...), «Rêve d’Égypte» al Musée Rodin di Parigi (fino al 5 marzo 2023). E non dite che, guardando «Le Baiser» nel Jardin des Tuileries, ovverosia il bronzo rigato dalla pioggia di quei due nudi che si baciano teneramente, per dire, ignoravate la «relation de Rodin à l’art égyptien» (o mi sfugge qualcosa?).

A questo punto, vien da chiedersi, se tutti questi che, così smaniosamente, corrono à rebours sulle tracce del faraone della XVIII dinastia, morto per cause misteriose, per staccare qualche biglietto in più e raggranellare qualche danaro sappiano della fine che hanno fatto quelli che li hanno preceduti. Non so, appunto, se li abbia raggiunti la notizia di Lord Carnarvon, lo sponsor di Carter, morto al Cairo pochi mesi dopo l’apertura della tomba, per la puntura di un insetto, si dice... E se non fosse così?

C’era una volta nella Valle dei Re
Il centenario della scoperta della Tomba di Tutankhamon (4 novembre 1922-2022)
di Francesco Tiradritti
1. Giovanni Battista Belzoni
2. Nascondigli reali
3. La prima volta di Carter
4. Un rinvenimento leggendario

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