Per la prima volta otto tappeti Sanguszko insieme in mostra

A Palazzo Rosso questi capolavori persiani del XVI secolo, «i più belli del mondo». Per favorire le comparazioni i sette mancanti sono presenti in replica, cui si aggiungono altri eccezionali prestiti dai quattro angoli d’Europa

Sanguszko Valencia de Don Juan, Regione di Kerman, Persia meridionale, 1550-75. Instituto Valencia de Don Juan, Madrid
Luca Emilio Brancati |  | Genova

Vuole la leggenda che nel 1621, dopo la cruentissima battaglia combattuta tra le truppe confederate polacco-lituane e quelle dell’esercito ottomano presso la fortezza medievale di Chocim (attuale confine meridionale ucraino), Hetman Jean-Charles Khodkevitch requisì come bottino di guerra anche un tappeto trovato in una tenda turca che, poi, passò al principe Pawel Sanguszko-Lubartowicz. Questa la versione narrata dall’ultimo discendente della casata, Roman Wladyslaw Sanguszko: una storia che però, come tutte le leggende di famiglia, non convince a fondo gli studiosi.

Sta di fatto che il nome della famiglia Sanguszko non solo è associato indissolubilmente a quel tappeto, ma individua un contenuto gruppo omogeneo di esemplari riferibili alla dinastia safavide (XVI-XVIII secolo) che si ipotizza siano stati realizzati nelle manifatture di Kerman, l’antica città persiana citata anche da Marco Polo.

Proprio a questo gruppo di tappeti è dedicata la mostra «I magnifici tappeti Sanguszko. “I tappeti più belli del mondo”: capolavori dalla Persia del XVI secolo», allestita dall’11 novembre al 12 febbraio nel Palazzo Rosso di Genova e che si preannuncia come straordinaria per una serie di ragioni, distinte e complementari. Intanto, e prima di tutto, avrà un’importante valenza scientifica perché per la prima volta saranno riuniti 8 dei 15 tappeti Sanguszko conosciuti permettendo così un prezioso confronto diretto altrimenti impossibile, a meno di numerosi pellegrinaggi verso alcuni dei più importanti musei del mondo.

Al primo piano saranno esposti tappeti provenienti da prestatori istituzionali quali Museo d’Arte Islamica di Berlino, Louvre di Parigi, Boughton House in Inghilterra, Museo dei Tessuti di Lione, Fondazione Thyssen-Bornemisza e Instituto Valencia de Don Juan di Madrid. Da quest’ultimo museo proviene il tappeto restaurato nel 2019 presso il laboratorio di Open Care a Milano, grazie all’interesse e al sostegno economico della Fondazione Bruschettini per l’Arte Islamica e Asiatica.

Proprio per ricordare Alessandro Bruschettini, il celebre industriale e connoisseur genovese scomparso poco più di un anno fa, la città di Genova gli dedica questa importante esposizione che chiude un ciclo di eventi culturali organizzati in sua memoria. Negli auspici la mostra avrebbe dovuto vedere la luce lo scorso maggio, quando in città sono state organizzate tre giornate di studio in onore di Bruschettini ed era stato presentato il catalogo postumo della mostra di arte ottomana allestita nel 2014 nelle sale di Palazzo Lomellino, ma si è deciso di attendere il completamento dei lavori di restauro di Palazzo Rosso così da coniugare elegantemente gli spazi recuperati con la sontuosità dei tappeti che vi saranno esposti.

La curatela scientifica è stata affidata allo specialista inglese Michael Franses che, come specificato nell’agile guida alla mostra, punta proprio al raffronto di questi esemplari per meglio comprendere la produzione safavide di Kerman, i cui contorni non sono del tutto chiariti. Risulta infatti evidente come siano un mix di caratteristiche, insieme tecniche e grafiche, a circoscrivere alcuni limitati capolavori nella ristretta cerchia della tipologia Sanguszko, distinti rispetto a qualche altro centinaio di pezzi superstiti allo stesso modo provenienti dalle manifatture safavidi di Kerman.

Ovviamente non tutti gli elementi distintivi di questi manufatti saranno verificabili dai visitatori, ma di certo le peculiarità cromatiche nonché compositive e decorative saranno perfettamente apprezzabili. E per favorire questa operazione di analisi stilistica, in mostra saranno presenti in replica anche gli altri Sanguszko che non è stato possibile far arrivare a Genova, riprodotti con una speciale tecnica fotografica su di un linoleum calpestabile a grandezza naturale: sarà così almeno parzialmente compensata l’assenza proprio del tappeto che dà il nome al gruppo, conservato oggi nel museo giapponese Miho, ma che per l’occasione è stato nuovamente fotografato in altissima definizione, così come il Sanguszko appartenuto al celebre antiquario fiorentino Stefano Bardini e oggi al Museo di Teheran.

Il secondo piano di Palazzo Rosso offrirà un ulteriore livello di approfondimento, presentando altre produzioni coeve persiane annodate nei centri di Kerman, Tabriz, Mashhad e Qazvin. Nove gli esemplari originali presenti, tra i quali il famoso Tappeto di Caccia datato 1521 del Museo Poldi Pezzoli, già appartenuto al Granduca di Toscana Ferdinando III e a Vittorio Emanuele III di Savoia, e il sontuoso Tappeto «Portoghese» un tempo di Vitall Benguiat e ora parte della Fondazione Bruschettini che ha messo inoltre a disposizione ulteriori quattro esemplari, tra integri e frammentari, tra cui lo splendido tappeto passato all’inizio del Novecento per la galleria romana dell’antiquario Sangiorgi e ipoteticamente ora attribuito a Qazvin.

Importanti prestiti sono in aggiunta garantiti da anonime collezioni private e da quella dell’antiquario milanese Moshe Tabibnia di cui saranno visibili due importanti frammenti Sanguszko al primo piano e un altro di Kerman al piano superiore, mentre sei ulteriori riproduzioni di grandi capolavori persiani completeranno il percorso permettendo ai visitatori che vi cammineranno sopra di cogliere le dimensioni monumentali di questi tappeti, oltre ai meravigliosi intrecci decorati che rimandano a fantastici ed esclusivi giardini paradisiaci che si potevano schiudere solo a piedi sovrani.

A corollario e nella traccia degli eventi che la città dedica a Pieter Paul Rubens con il progetto «Genova per Rubens. A Network», nato attorno alla mostra «Rubens a Genova», il vicino Palazzo Bianco ospiterà, sempre dall’11 novembre al 12 febbraio e con la collaborazione della Fondazione Bruschettini per l’Arte Islamica e Asiatica, la mostra «Figure persiane. Rubens, i Genovesi e l’arte safavide», curata da Loredana Pessa e focalizzata sull’interesse per l’arte persiana del pittore fiammingo, testimoniato da alcuni suoi disegni ai quali saranno avvicinati pregiate miniature e ricercati tessuti safavidi.

Dunque una mostra speciale quella visibile a Palazzo Rosso, sicuramente la più straordinaria sui tappeti degli ultimi anni, dopo quelle diventate oramai celebri del Palazzo Reale di Milano nel 1999 e quella magistralmente allestita nel 2018 nelle sale del Palazzo Ducale di Urbino: Alessandro Bruschettini sarebbe soddisfatto.

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