I sacri spiriti Songye guardano Giotto

Al Maschio Angioino 133 opere di una etnia che si è trovata al centro dell’attenzione degli antropologi relativamente tardi

Testa di figura di potere tipica degli stili centro-occidentali del territorio Songye
Antonio Aimi |  | Napoli

Il 29 ottobre, a Napoli, nel Maschio Angioino, si inaugura la mostra «Sacri spiriti. I Songye nella Cappella Palatina», che presenta 133 opere di questa popolazione della Repubblica Democratica del Congo e resterà aperta fino al 15 gennaio con accesso gratuito per tutti.

Anche se in Europa e negli Stati Uniti negli ultimi anni sono state organizzate diverse mostre sulle culture africane, questa è la prima che si concentra su opere di una sola tipologia e di una sola etnia, che, peraltro, si è trovata al centro dell’attenzione degli antropologi relativamente «tardi».

Soprattutto si deve mettere in rilievo che questa è la prima che consente ai visitatori di godersi l’arte dei Songye, perché i curatori, applicando la metodologia che da sempre usano gli storici dell’arte, sono entrati nel terreno delle attribuzioni e della gerarchia delle opere.

In questo modo sono stati individuati e presentati cinque maestri, ai quali sono attribuite 24 delle 133 opere esposte. Tutto questo è dovuto al lavoro dei due curatori, Bernard de Grunne e Gigi Pezzoli, che, da una parte, sono riusciti ad avere il patrocinio dell’Ambasciata e del Consolato della Repubblica Democratica del Congo e, dall’altra, hanno coinvolto il Comune di Napoli, l’Università l’Orientale e il MANN (Museo Archeologico Nazionale di Napoli), che ospita un piccolo ma significativo nucleo di reperti Songye.

«Sono molto orgoglioso di quanto abbiamo fatto, non solo perché questa è la mostra più importante mai fatta sui Songye, ma anche perché in un periodo in cui infuria il dibattito sulle cosiddette “restituzioni” è di conforto constatare che in questo a caso, anche grazie al coinvolgimento dell’Ambasciata e del Consolato della Repubblica Democratica del Congo, prevale un messaggio forte e chiaro: l’arte, dovunque si trovi, rappresenta l’incontro di esseri umani che cercano in un modo o nell’altro di sublimare la realtà della vita quotidiana», dichiara Gigi Pezzoli.

«Questa funzione dell’arte nel nostro caso è inoltre esaltata da una sinergia unica al mondo, perché al MANN e nella Cappella Palatina presentiamo le sculture dei Songye accanto ai capolavori delle culture classiche e ai frammenti degli affreschi di Giotto. Le opere di questa popolazione africana, al di là dell’interesse puramente etnografico, devono essere ammirate per quello che sono: perfette espressioni dei valori estetici della cultura che le ha generate. In altri termini, devono essere considerate un patrimonio dell’intera umanità».

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