Regina Galindo nella sua tierra dilaniata da guerra e dittatura

Il percorso al PAV analizza la ventennale carriera dell’artista e attivista, da sempre legata all’utilizzo degli elementi naturali, la terra innanzitutto, attraverso cui influenza le più recenti tendenze della ricerca artistica ecofemminista

«Tierra» (2013) di Regina José Galindo
Jenny Dogliani |  | Torino

Guatemalteca, performer, attivista, vincitrice del Leone d’Oro come migliore giovane artista alla 51ma Biennale di Venezia, Regina José Galindo (1974) è la protagonista della personale «Tierra», curata da Marco Scotini per il PAV, visitabile dal 5 novembre al 26 febbraio. Il percorso documenta e analizza la ventennale carriera dell’artista e attivista, da sempre legata all’utilizzo degli elementi naturali, la terra innanzitutto, attraverso cui influenza le più recenti tendenze della ricerca artistica ecofemminista.

«Galindo utilizza il corpo come strumento privilegiato di una pratica artistica intensa, inaugurata alla fine degli anni Novanta; lontana dalle ricerche formali condotte nelle scuole d’arte tradizionali, sin da subito Galindo utilizza l’arte come modalità di comunicazione e azione politica: nata e cresciuta durante la lunga dittatura militare guatemalteca, assiste sin dalla più tenera età a una guerra civile connotata da feroci pratiche repressive, sino alla pulizia etnica nei confronti delle popolazioni indigene», spiega il curatore.

Tra le opere in mostra la documentazione della performance «Tierra» (2013, nella foto), in cui l’artista è immobile mentre una pala meccanica scava attorno al suo corpo, alludendo alle fosse comuni in cui erano gettati gli oppositori al regime di Carlo Castillo Armas. In «Mazorca» (2014), Galindo è invece ferma in mezzo a un campo di mais mentre quattro uomini armati di macete distruggono il raccolto, altro strumento di repressione del regime. Una pratica forte, d’impatto e coraggiosa da parte di un’artista nata e cresciuta in un Paese dilaniato dalle guerre civili e controllato da una rigida censura, dove il corpo diventa l’unica voce dei propri pensieri.

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