Con «Asinelli solitari» il SI FEST premia il coraggio della giovane fotografia

Alex Mojoli, direttore artistico del festival di Savignano sul Rubicone, ha portato le mostre nelle scuole per educare allo sguardo i giovanissimi

Una fotogradia di Sanae Mazouz, vincitrice del del XXI premio Pesaresi
Valeria Tassinari |  | Savignano sul Rubicone (Fc)

È Sanae Mazouz (1999, Castella, Genova) la vincitrice del XXI premio Pesaresi, un’autrice giovanissima, scelta tra 158 progetti di reportage candidati «per aver presentato immagini coscientemente coraggiose, che costruiscono una narrazione in grado di accompagnarci dentro la dimensione intima e familiare della società marocchina», come riporta la motivazione del riconoscimento, assegnato l’11 settembre scorso, nell’ambito del SI FEST, il festival dedicato a talenti emergenti della fotografia a Savignano sul Rubicone, una delle più importanti manifestazioni italiane per la giovane fotografia.

«Sono contentissimo che il Premio Pesaresi sia andato a questa ragazza piena di talento, non vedo l’ora di vedere il risultato.» Alex Majoli, reporter pluripremiato per i suoi lavori in aree di conflitto, membro e già direttore dell’agenzia Magnum Photos, commenta così l’atto conclusivo della «sua» edizione del festival, un progetto che ha diretto con un taglio particolarmente innovativo, per recuperare appieno la primigenia vocazione della manifestazione, nata 32 anni fa proprio per scommettere sulla capacità dei giovani di portare uno sguardo fresco e profondo sulla realtà.

Intitolato «Asinelli solitari» (in omaggio a Pierpaolo Pasolini e ai pensatori ostinati e isolati), ambientato in gran parte nelle aule delle scuole dove i ragazzi hanno già ripreso le lezioni, il festival mai come quest’anno ha dunque ritrovato la sua vocazione, mettendo in chiaro l’obiettivo di educare alla visione e sollecitare lo sguardo. Ventitré mostre, ancora visitabili l’1 e 2 ottobre, laboratori, centocinque letture di portfolio attraverso le quali è stato assegnato un altro riconoscimento, il Premio «Werther Colonna»,a Fabio Margara (1981, Tuoro sul Trasimeno), anche lui molto apprezzato dalla giuria internazionale.
Un’edizione che ha sorpreso per la ricchezza di punti di vista, di sguardi attenti, di determinazione e originalità degli autori nella ricerca, e che è riuscita a portare la potenza comunicativa della fotografia proprio là dove i ragazzi si stanno formando, per offrire agli studenti una visione plurima della complessa contemporaneità con la quale si confrontano o dovranno imparare a confrontarsi. Majoli è già ripartito per New York, dove abita, per tornare a «fare il fotografo», ma non nasconde di aver vissuto con intensità questa esperienza.

A trent’anni dalla nascita del SI FEST questa edizione è apparsa coraggiosa e persino rivoluzionaria. Si può fare la rivoluzione con l’educazione allo sguardo?
Non so se si può fare ma sicuramente bisogna provarci, probabilmente i risultati, se mai ci saranno, li vedremo tra un po’ di anni.

La sua fotografia si connota con forza per una scelta di impegno civile. Accettare la direzione di un festival dedicato ai giovani è anche una scelta di impegno sociale?
Assolutamente si, questo è il vero motivo per cui ho accettato la direzione artistica, fa parte della mia stessa storia personale dirigere in questo modo il festival. Di certo non sono un curatore e mai ho pensato di diventarlo.

Cosa l’ha sorpresa maggiormente nella grande partecipazione registrata dal festival?
Non saprei, io sinceramente i conti non li vorrei fare, essendo che le mostre sono principalmente pensate per i ragazzi. Vorrei sapere dai docenti qualcosa, più che dal pubblico.

© Riproduzione riservata Alex Majoli
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