Gurlitt a Berna: punto e a capo

Attraverso 350 opere e documenti una mostra al Kunstmuseum fa il bilancio su una vicenda che ha sollevato un acceso dibattito internazionale

«August Strindberg» (1896), di Edvard Munch
Flavia Foradini |  | Berna

A partire dall’autunno del 2013 il corpus di circa 1.600 opere fra dipinti, grafiche e sculture del XIX e XX secolo, ritrovate l’anno precedente affastellate nelle abitazioni di Cornelius Gurlitt a Monaco di Baviera e a Salisburgo, accese nuovamente i riflettori sui rapporti fra il nazismo il mondo dell’arte: quella amata da Hitler e dai suoi gerarchi e quindi rastrellata o confiscata con metodi sbrigativi o brutali; quella bollata come «degenerata» e a seconda dei casi distrutta o smaltita attraverso mercanti e case d’asta compiacenti per far cassa; quella fatta di grandi capolavori stipati dapprima nei depositi dei musei del Reich, e poi al sicuro dai bombardamenti in miniere dall’umidità ideale, sonnecchiando in attesa della costruzione del grande Führermuseum di Linz che avrebbe dovuto mettere in ombra ogni altra istituzione museale. Quello del mondo dell’arte durante il Terzo Reich è stato un filone fra i tanti che consentirono ai nazisti di dimostrare la, temporanea, invincibilità del proprio potere.

Della collezione di Hildebrand Gurlitt (1895-1956), grande conoscitore, curatore, direttore di musei, e mercante al soldo di Hitler, nel dopoguerra si sapeva diffusamente fra gli operatori del mondo dell’arte e il giudizio sulla sua qualità e valore convergevano su un valore nel complesso modesto, a parte un gruppo di lavori di punta: circa 300 opere sono ascrivibili ad artisti membri della famiglia e l’85% della collezione è grafica.

Nel dopoguerra diverse di quelle opere (la collezione era stata restituita a Hildebrand Gurlitt dall’Art Looting Investigation Unit americana poco dopo la fine della guerra) vennero esposte in alcune mostre al di qua e al di là dell’oceano, prima di sparire fra le mura domestiche del figlio Cornelius, che di tanto in tanto ne vendeva una. Una pratica che nel settembre 2010 mise casualmente in azione la giustizia col sospetto di evasione fiscale.

I complessi e controversi sviluppi di quella vicenda culminarono il 7 maggio 2014, allorché venne reso noto che Cornelius Gurlitt (1932- 6 maggio 2014) aveva designato il Kunstmuseum di Berna come erede della sua collezione: il dibattito si rinfiammò a livello internazionale e le successive azioni avviate sia dalla Germania sia dalla Svizzera rivelarono tutto l’affanno delle autorità competenti nel dimostrare alacre impegno e salomonica equità nel far luce su quel pozzo nero, sulla base tuttavia di un ferreamente mantenuto nulla legislativo in entrambi i Paesi.

Il 22 novembre 2014 l’istituzione elvetica comunicò al mondo che sì, il Kunstmuseum avrebbe accettato quell’eredità definita da numerosi operatori del settore come almeno in parte lorda di sangue. Le necessarie ricerche sulla provenienza vennero effettuate dapprima dalla commissione tedesco-federale e bavarese d’inchiesta (Taskforce Schwabinger Kunstfund) in attività dal novembre 2013 a fine 2015 e poi dalla Stiftung Deutsches Zentrum Kulturverluste (fino al 2019). Al Kunstmuseum di Berna un’apposita commissione sulla provenienza venne creata per la prima volta in Svizzera nel 2017. Alcune mostre presentarono quindi al pubblico parte della collezione.

Alla fine del 2021 il Kunstmuseum di Berna annunciò la volontà di tentare una conclusione per l’intera vicenda, grazie a un complesso sistema di catalogazione «a semaforo», che suddivideva la collezione in quattro gruppi, a seconda del grado di incertezza sulla filiera: per 1.337 opere le ricerche sono state chiuse e la proprietà è passata definitivamente al museo, 9 opere sono state restituite, 28 hanno codice verde. Le restanti sono in attesa di definizione.
Dal dicembre 2021 una banca dati online dà inoltre conto dell’intera collezione e contestualmente la collaborazione con il Governo federale tedesco e quello della Baviera è stata chiusa.

Ora il museo elvetico ha presumibilmente deciso di smorzare per così dire i riflettori che sin dal 2014 hanno disturbato non poco l’immagine pubblica svizzera (e tedesca). E lo fa con una nuova mostra, aperta dal 16 settembre al 15 gennaio 2023 con 13 sezioni e col titolo «Gurlitt. Un bilancio», in cui grazie a 350 oggetti fra opere e documenti, dà conto del lavoro di ricerca condotto fin qui e «invita a considerare le opere del lascito Gurlitt da diverse prospettive». Gruppi di opere vengono presentati contestualizzati dal punto di vista storico: «Sguardi diversi permettono di comprendere le questioni etiche e giuridiche derivanti per l’oggi dalla storia delle razzie nazionalsocialiste», fa sapere il museo.

La mostra si interroga anche su ciò che le ricerche sulla provenienza «significhino concretamente, quali ne siano i confini». «Grazie ad esempi paradigmatici mostriamo anche come si possano trattare in modo responsabile i risultati delle ricerche sulla provenienza», spiega Nikola Doll, direttrice della Sezione Provenienza e curatrice della mostra. Secondo la perizia della commissione del museo (novembre 2021) «il fatto che per il lascito Gurlitt non sia stato finora possibile ricostruire appieno la provenienza non osta alla proprietà dello stesso da parte del Kunstmuseum. In base al diritto tedesco, vi è divergenza di opinioni se Cornelius Gurlitt abbia mai potuto essere proprietario di quelle opere».

Fra gli artisti esposti, Max Beckmann, Paul Cézanne, George Grosz, Vasilij Kandinskij, Claude Monet, Edvard Munch, Auguste Rodin.

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