Graffiti e miracoli sulla via francigena

Tra i noccioleti del viterbese un palinsesto architettonico e pittorico cresciuto su un antico sepolcreto romano. A Ronciglione nel Santuario di Sant’Eusebio, vescovo di Sutri, affreschi dall’VIII al XVII secolo

Una veduta dell’interno del Santuario di Sant’Eusebio scandito in tre navate L’esterno del Santuario di Sant’Eusebio a Ronciglione (Vt) L’affresco con l’«Ultima Cena» (XII secolo) L’arco trionfale con «Cristo benedicente tra santi» (XI-XII secolo)
Guglielmo Gigliotti |  | Ronciglione (Vt)

Presso Ronciglione (Vt), 60 km a nord di Roma, a poche centinaia di metri dalla Cassia-Francigena nella sua variante Cimina, è cresciuto su sé stesso, nei secoli, il Santuario di Sant’Eusebio: prima sepolcreto romano, poi luogo di culto cristiano nell’Alto Medioevo, infine chiesa romanica, frequentata fino al XIX secolo. Ma sul sito ci sono anche tracce di un santuario arcaico probabilmente dedicato alla divinità solare etrusca Soranus. Come dire, un palinsesto plurimillenario, e scrigno di storia civile, religiosa e artistica, recentemente restaurato, ma poco noto. Era celebre invece tra i viaggiatori e i pellegrini che per secoli lo hanno visitato, o vi hanno dimorato per riposarsi dal lungo viaggio, prima di affrontare l’ultimo tratto verso la meta: Roma.

Ora potrebbe tornare a essere stazione del moderno pellegrinaggio sulla Francigena, all’insegna della rivalorizzazione sostenuta negli ultimi anni da Regione Lazio e Soprintendenze territoriali, per un turismo lento, contemplativo e originale: Sant’Eusebio è ubicato in mezzo a un noccioleto, nel silenzio, ma con tutti i suoi tesori.

Tra questi, affreschi del XII secolo con un’«Ultima Cena», una «Lavanda dei piedi», un «Cristo Pantocrator» e la più antica rappresentazione in affresco ad oggi conosciuta dell’«Albero di Iesse», che illustra la genealogia di Cristo. Ma anche la «Visitatio Virginis» dell’VIII secolo è tra le prime rappresentazioni di questo soggetto. I numerosi graffiti in antico onciale romano, lasciati da viaggiatori tra VIII e IX secolo, sono ciò che rimane dell’esistenza di pellegrini o religiosi che chiedevano protezione a sant’Eusebio (vescovo di Sutri del IV secolo), definendosi «peccator» e «miser». Altri affreschi arrivano fino al XVII secolo, testimonianze graffite fino al XVIII secolo. I restauri compiuti tra il 2005 e il 2010 non hanno però coinvolto l’intero edificio.
L’abside del Santuario di Sant‘Eusebio con i resti di sepolture
«Manca il restauro del romitorio, luogo dove i monaci risiedevano, collocato sul lato nord del monumento e che, ancora, non è stato indagato e restaurato, precisa il responsabile dei restauri, l’architetto Pietro Paolo Lateano. In esso, quasi certamente, si cela una struttura più antica che potrebbe contenere, con ogni probabilità, il sacello in cui è sepolto il santo cui è dedicata la chiesa. Non abbiamo potuto eseguire approfondite indagini archeologiche e scavi sulle due necropoli presenti nell’area, quella romana e quella longobarda di cui abbiamo certezza dell’esistenza e di cui conosciamo, con buona approssimazione, anche la collocazione geografica. Sarebbe auspicabile riportare alla luce anche il tracciato della cosiddetta variante Cimina della Via Francigena che, giova ricordare, passa proprio a fianco della chiesa ed è pavimentata con l’antica tecnica delle “pignocche”. Sarebbe, infine, auspicabile uno studio più approfondito dell’apparato decorativo, allo scopo di scoprire i possibili esecutori e la committenza».

Qual è il significato di questo restauro? «L’ispirazione è stata quella di recuperare e conservare tutto ciò che di originale era ancora presente sotto la spessa coltre di vegetazione e macerie che nei secoli si era stratificata sopra l’architettura, ormai quasi ruderale, di Sant’Eusebio. Come dico spesso, il miglior restauro, quello condotto nel pieno rispetto di chi ha progettato l’opera originale, è quello che restituisce leggibilità al palinsesto monumentale senza mai sconfinare nel falso storico o, peggio, nel “nuovo finto antico”. Assieme a me hanno lavorato la professoressa Natalina Mannino, i professori Giovanni Carbonara e Giancarlo Palmerio, miei maestri, e molti altri ancora. Un fondamentale apporto è stato dato dall’applicazione delle nuove tecnologie del rilievo digitalizzato. Il team Archicultura dell’architetto Raffaella Canfarini per mezzo del laser scanner ha fornito la necessaria piattaforma su cui operare per il corretto restauro».

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