La malattia di Ligabue nei suoi dipinti

La storia psichiatrica dell’artista ripercorsa in una ventina di opere degli anni 1929-62 nella Galleria di Bper Banca

«Aratura coi buoi», di Antonio Ligabue. Collezione Bper Banca
Stefano Luppi |  | Modena

Dal novembre 2018, scaduti i settant’anni dall’ultimo dei tre ricoveri presso l’ex ospedale psichiatrico Lazzaro Spallanzani di Reggio Emilia, è possibile consultare le cartelle cliniche di Antonio Ligabue (1899-1965). Una documentazione che il curatore Sandro Parmiggiani ha incluso nella mostra «Antonio Ligabue. L’ora senz’ombra. Il riconoscimento come artista e come persona», ospitata dal 16 settembre al 5 febbraio a La Galleria. Collezione e Archivio Storico di Bper Banca.

In particolare la rassegna accenna alla storia psichiatrica dell’artista, iniziata già nel 1917, quando in seguito a una crisi psicotica viene ricoverato per la prima volta all’ospedale psichiatrico di Pfäfers, nel Cantone di San Gallo dove al tempo viveva prima del trasferimento a Gualtieri (Re). Nel Reggiano, successivamente, i tre noti ricoveri allo Spallanzani, del 1937, 1940-41 e 1945-48, che tanto incisero nella sua biografia.

Su questo importante cenno esistenziale la mostra incentra l’ordinamento di una ventina di dipinti del periodo 1929-62: «Il percorso non pretende di indagare l’intera produzione dell’artista, spiega il curatore, si tratta tuttavia di una mostra “esemplare” che scava, ad esempio con alcune opere realizzate nei periodi di internamento al San Lazzaro, in alcuni dei viluppi che tormentarono l’uomo. Il senso di un’oscura colpa introiettata anche come conseguenza delle umiliazioni e delle offese inflittegli e la sua indomita aspirazione a un riconoscimento, a una “giustizia” che finalmente riscattasse le sue sofferenze».

Tutto ciò con alcuni dipinti importanti: «Cito “Caccia grossa” del 1929, prosegue Parmiggiani, con Ligabue che si autoraffigura mentre guarda una delle sue scene di lotta per la vita; “Leopardo con serpente” (1937), emblema della privazione della libertà che lui sta patendo; alcuni autoritratti del ’40 e del periodo 1954-57 da cui emergono l’affermazione della sua duplice identità di uomo e di artista, le agognate foreste identificate dalla golena del Po, l’aperta allusione alla fine della vita che s’avanza».

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