L’artista Ashraf Fayadh rilasciato dopo otto anni e 800 frustate in prigioni saudite

Era stato condannato a morte nel 2015 da una corte religiosa. L’artista suo amico Ahmed Mater sostiene che sotto il nuovo governo le cose andrebbero in maniera diversa

«Together against Recycling People» di Ashraf Fayadh, dalla serie «Palestinian ID», realizzata per la prima mostra di Shattah ad Abha nel 2003
Anna Somers Cocks |

La sera del 22 agosto, dopo otto anni e otto mesi, nel corso dei quali gli sono state inflitte 800 frustate, è stato rilasciato da un carcere saudita il poeta, artista e curatore Ashraf Fayadh, 42 anni, di origine palestinese ma nato in Arabia Saudita. Per quasi tre mesi, nel 2015-16, aveva vissuto sotto condanna a morte. Il suo caso ha suscitato diffusa inquietudine in Arabia Saudita, dove nel 2003 aveva co-fondato l’influente collettivo di artisti Shattah, e sdegno all’estero, dove Fayadh era stato coinvolto in alcune delle prime mostre di arte contemporanea saudita al di fuori dell’Arabia Saudita, tra cui «Rhizoma: Generation in Waiting», che aveva co-curato alla Biennale di Venezia del 2013.

Il ritardo di otto mesi nel suo rilascio sembra dovuto alla difficoltà burocratica di reinserire un rifugiato palestinese nella società saudita. L’ufficio dell’Unhcr di Riyad, alcuni diplomatici stranieri e accademici statunitensi e autorità saudite illuminate hanno finalmente ottenuto il rilascio di Fayadh, annunciato su Facebook da Ramallah da Murad Sudani, capo dell’Unione degli scrittori palestinesi.

Il calvario dell’artista è iniziato nell’agosto 2013, quando era stato arrestato dalla polizia religiosa dopo che qualcuno l’aveva denunciato nel 2011 per aver fatto commenti blasfemi in un caffè di Abha, una città nel sud dell’Arabia Saudita. L’accusatore sosteneva inoltre che Fayadh avesse diffuso un libro da lui scritto nel quale promuoveva l’ateismo e la miscredenza. La polizia lo ha trattenuto per un giorno, poi lo ha rilasciato, ma il primo gennaio 2014 Fayadh è stato nuovamente arrestato e accusato di una lunga serie di reati, tra cui la «negazione del giorno della resurrezione», l’«obiezione al destino e al decreto divino» e di «avere una relazione illecita con donne di cui memorizzava foto nel suo telefono». In realtà, le foto ritraevano semplicemente Fayadh accanto a una donna in abiti modesti, scattate all’inaugurazione di una mostra a Gedda.

Il vero motivo della sua persecuzione, sostengono gli amici, è che la polizia religiosa lo considerava un bersaglio facile, un artista emarginato e un palestinese, la cui scomparsa, secondo loro, non avrebbe destato attenzione. Ciò che è certamente vero è che gli artisti devono camminare su una linea sottile in Arabia Saudita, dove qualsiasi messa in discussione dell’autorità religiosa o temporale rappresenta un rischio e deve essere velata da metafore e simbolismi.

Nel processo, che si era svolto tra febbraio e maggio 2014, Fayadh ha negato le accuse e ha chiamato tre testimoni che hanno contestato la testimonianza dell’uomo che lo aveva denunciato. I testimoni per la difesa avevano affermato che l’accusatore aveva denunciato Fayadh in seguito a una disputa personale e che non avevano mai sentito dichiarazioni blasfeme da parte di Fayadh. Il suo libro, Instructions Within, pubblicato a Beirut nel 2008, consiste in poesie d’amore che non insultano il Profeta né violano alcuna regola sociale, ma contengono le sue riflessioni filosofiche sulla vita.
Ashraf Fayadh con l’ambasciatore saudita ad un’inaugurazione al British Museum nel 2006
L’ultimo giorno del procedimento, Fayadh ha dichiarato: «Sono pentito di fronte a Dio altissimo e sono innocente di ciò che è stato detto sul mio libro», ma il 26 maggio 2014 il tribunale generale di Abha lo ha trovato colpevole e lo ha condannato a quattro anni di carcere e 800 frustate. Il tribunale aveva respinto la richiesta dell’accusa di condanna a morte per apostasia, a causa della testimonianze che indicavano «ostilità» tra Fayadh e l’uomo che lo aveva denunciato, nonché del pentimento di Fayadh. Il pubblico ministero ha fatto appello alla sentenza e il caso era stato rinviato alla corte inferiore, dove, il 17 novembre 2015, un nuovo giudice aveva ribaltato la sentenza precedente e condannato Fayadh a morte per apostasia. Una settimana dopo, il padre di Ashraf Fayadh moriva per un ictus e non è stato permesso a Fayadh di partecipare al suo funerale; ma ha scritto una poesia, di cui questo è un brano:

«Ho visto mio padre per l’ultima volta attraverso un vetro spesso
poi se ne andò, per sempre.
Per colpa mia, diciamo.
Diciamo che perché non poteva sopportare il pensiero
che sarei morto prima di lui.
Mio padre è morto e ha lasciato che la morte mi assediasse
senza che mi spaventasse abbastanza.
Perché la morte ci spaventa a morte?».

Il mondo dell’arte saudita è rimasto profondamente turbato dal trattamento di un noto membro della comunità da parte dei tribunali religiosi e il caso di Ashraf è stato ripreso dall’avvocato saudita per i diritti umani Abdulrahman Al-Lahem, il quale ha affermato che le argomentazioni contro Fayadh erano profondamente errate, non valide ai sensi della Sharia e neppure tenevano conto delle prove mediche dello stato mentale instabile di Fayadh.

Al di fuori dell’Arabia Saudita vi è stata subito una reazione da parte del mondo dell’arte e delle lettere. Oltre 60 organizzazioni internazionali, tra cui Pen International e America, Human Rights Watch, Amnesty e Freedom House, avevano protestato, mentre 100 scrittori arabi avevano firmato una petizione.

Stephen Stapleton e Ahmed Mater, co-fondatori del gruppo artistico saudita-britannico «Edge of Arabia», di cui Fayadh faceva parte, Aarnout Helb, fondatore del Greenbox Museum of Saudi Contemporary Art e la nostra testata sorella «The Art Newspaper» avevano organizzato una petizione privata al re che è stata tradotta in arabo e consegnata da un alto diplomatico statunitense al Diwan (corte reale). Nella lettera si leggeva: «Se la giustizia non protegge Ashraf Fayadh, non solo lui perderà la vita, ma un’intera generazione di cittadini creativi e utili, quelli che possono contribuire alla felicità e alla prosperità del vostro Paese, sarà ferita e scoraggiata».

La lettera era stata firmata dai direttori del British Museum, della Tate e della Tate Modern, dal presidente e dal segretario delle mostre della Royal Academy, dal capo del St. Cross College di Oxford; dai direttori del Musée Guimet e del Centre Pompidou di Parigi; dal direttore del Museum für Islamische Kunst di Berlino; dai direttori dei musei Stedelijk, Van Gogh e del Nationaal Museum van Wereldculturen dei Paesi Bassi; dai direttori del Museum of Modern Art e del Brooklyn Museum di New York e del LA County Museum. Anche Karen Armstrong, scrittrice ecumenica e autrice di Mohammed: a Biography of the Prophet, un best-seller nel mondo islamico, aveva aggiunto il suo sostegno alla petizione, mentre una chiara descrizione medica dell’agitazione spesso manifestata da persone dalla condizione di Fayadh era stata preparata durante il periodo natalizio per la sua difesa dal professor Edward Bullmore, direttore del dipartimento di psichiatria dell’Università di Cambridge.

Nel gennaio 2016, proprio quando era prevista l’udienza del ricorso, centinaia di scrittori di 44 Paesi hanno partecipato a letture delle poesie di Fayadh e una lettera firmata dai premi Nobel Orhan Pamuk e Mario Vargas Llosa è stata inviata al Presidente degli Stati Uniti, al Primo Ministro del Regno Unito e al Ministro degli Esteri tedesco, chiedendo loro di fare pressione sul governo saudita. Il verdetto del primo febbraio 2016 è stato allo stesso tempo un sollievo e una delusione. La condanna a morte era stata annullata, ma Fayadh era stato condannato a otto anni con 800 frustate, da eseguire in 16 sessioni.

Oggi Ashraf Fayadh è finalmente libero, apparentemente in buona salute, sia fisica sia mentale, ed è sostenuto da amici e familiari in Arabia Saudita. Era stato condannato da un sistema giudiziario teocratico che mirava a ostacolare, se non addirittura a smantellare, il movimento artistico saudita di cui lui era una parte fondamentale, ma il suo rilascio coincide con l’indebolirsi sotto la nuova leadership dell’Arabia Saudita del potere delle autorità religiose ultraconservatrici che un tempo cercavano di porre fine alla sua vita. Il suo amico, l’artista Ahmed Mater, ha dichiarato a luglio al canale di informazione francese RFI che quanto accaduto a Fayadh appartiene a un’epoca meno aperta di oggi e difficilmente si ripeterebbe adesso.

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