Un sorriso fra gli squali, addio a Claudio Poleschi

Il mondo dell’arte ricorda lo storico gallerista e fondatore di Art Share, scomparso a 73 anni

Claudio Poleschi
Franco Fanelli |

Un gallerista, almeno nel significato tradizionale del termine, è una creatura composita, nella quale coabitano l’anima del mercante e del «costruttore» di cultura. Quando queste due componenti sono in equilibrio, sfidando la loro apparente inconciliabilità, il gallerista conferma la sua indispensabilità all’interno del sistema dell’arte. Creare cultura, del resto, significa spesso osare e sognare, attività necessarie anche allo sviluppo imprenditoriale.

Claudio Poleschi, scomparso il 25 agosto a 73 anni dopo una breve malattia, non ha fatto in tempo a inaugurare una personale diffusa di Stefano Arienti, la prima del ciclo di mostre «SM-Art. Sensibilità artistiche dagli anni Novanta», curato da Fabio Cavallucci, Angela Vettese e Giacinto di Pietrantonio, il 17 settembre a San Marino. Qui dal 2021 aveva spostato l’attività («la Repubblica di San Marino non è più un paradiso fiscale, ma non si paga l’Iva», aveva spiegato con la franchezza che gli era solita). Ma gran parte della sua vicenda di gallerista si è svolta a Lucca, a cominciare dal 1973. Qui si era dedicato ai protagonisti dell’Arte povera (Mario e Marisa Merz, Zorio, Calzolari, Kounellis) e si era affermato tra i più attivi sostenitori dell’arte italiana degli anni Ottanta (Chia, Cucchi, Clemente, De Maria, Paladino, Ontani, Nunzio). Spaziava da Gino De Dominicis a Bertozzi & Casoni, da Carla Accardi a Louise Nevelson.

L’anima imprenditoriale di Poleschi è emersa con forza nel modo in cui ha reagito alla crisi determinata dal Covid-19, con l’immediata apertura alle vendite online, ma anche, nel 2020, con la piattaforma Art Share Sales, in collaborazione con il consulente finanziario Maurizio Fontanini, per la vendita di opere in quote. Vale a dire in comproprietà. «Veniva dal mercato “vero” , ricorda Fabio Cavallucci, fatto, negli anni Settanta, anche di aste organizzate nelle sere d’estate a Forte dei Marmi, al Lido delle Nazioni. E operava in collaborazione con altri galleristi, come Bagnai, Tega, Cardi; con quest’ultimo aveva anche aperto una sede a Pietrasanta».

Ma c’era anche il Poleschi «aperto all’impegno politico, spiega Angela Vettese, un aspetto tutt’altro che secondario; di qui le mostre di artisti come Santiago Sierra e Adrian Paci nell’ex Chiesa di san Matteo a Lucca». Era del resto un figlio del Sessantotto, «e questa linea più politica troverà poi sviluppo nell’associazione culturale e poi galleria Prometeo di Milano, attraverso la moglie di Poleschi, Ida Pisani», conclude Cavallucci. «Ida Pisani ha favorito ulteriormente l’apertura alle nuove generazioni, a giovani artiste e artisti attivi con il video e la performance e a nuove realtà extraeuropee, conferma Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento di Firenze. Ma voglio ricordare Claudio Poleschi anche per le sue doti umane, per la sua empatia che favoriva i buoni rapporti con tutti i colleghi; una figura amichevole e positiva all’interno di un sistema dell’arte sempre più aggressivo».

«Quando un amico scompare è difficile trovare le parole, tutto diviene banale, prevale il dispiacere, conclude il collega Alessandro Bagnai. Lo ricorderò con il Borsalino che portava quando l’ho conosciuto, lui già abile mercante e io giovane appassionato che si affacciava al mondo dell’arte. Ricorderò soprattutto la sua spontanea umanità e l’ottimismo che non perdeva neppure nei momenti difficili. Con Claudio abbiamo percorso strade diverse, ma allo stesso tempo abbiamo condiviso spesso un sentire comune che ci faceva riconoscere e stimare, credo reciprocamente. Mi consola il pensiero che ovunque si trovi sia ancora di fronte al suo computer a organizzare tutto, come sempre, meticolosamente».

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