Un gentiluomo piemontese tra savoir faire e faire savoir

Stefano Causa e Arabella Cifani ricordano la figura di Piero Angela

Piero Angela
Stefano Causa, Arabella Cifani |

Piero Angela tra savoir faire e faire savoir
«Scompare un grande italiano», commenta a caldo Sergio Mattarella la morte di Piero Angela. Tutti d’accordo. Era suo il primo nome a saltar fuori ove si finisse per parlare di buona televisione (a danno, evidentemente, di un’altra cattiva). Ora, non esiste tv buona o cattiva ma, semmai, programmi buoni e meno buoni, timonati da persone di maggiore o minor talento (come non esistono scuole di prima e seconda lista ma maestri inerti o capaci di appassionare, perché loro per primi permeabili alla Passione).

È superfluo specificare a quale categoria appartenesse Angela: giornalista eccelso, impareggiabile comunicatore in equilibrio tra savoir faire e faire savoir. Sapeva raccontare in modo sollecitante e solleticante: un talento ma anche una disciplina. Ed era un ottimo pianista.

Dopodiché il suo merito più grande emerse a fine secolo quando sulla rete ammiraglia della tv, incanalatasi anche grazie a lui nel lungo fiume tranquillo del mainstream, si cimentò nella cosa più difficile del mondo: superare la divaricazione tra saperi umanistici e scientifici. Umberto Eco lo sosteneva da tempo (e con lui Ezio Raimondi). Ma Angela ci entrò in casa dimostrando, con la forza combinata di immagini e racconto, il danno che avrebbe causato il disinteresse, passato come un testimone dai vecchi ai giovani, per la matematica o la fisica (provate a chiedere, tra storici e comparatisti, chi siano Carl Friedrich Gauss, Max Planck o Heisenberg).

Ma si sa: l’Italia è culla di santi, poeti e umanisti. Quanto ai frequenti intermezzi, calibrati nelle sue trasmissioni maggiori, sugli strumenti e sui monumenti del paese, si trattava di minimi risarcimenti alla nostra ignoranza, di retaggio scolastico, per la storia dell’arte e la storia della musica.

Pure Piero Angela è vittima di un luogo comune, l’essere ritenuto depositario della divulgazione (all’inglese), che lo ha segnato come un tatuaggio e che lui, a giudicare dagli scritti e dalle interviste, tollerava con disagio. Nonostante questo, che a me continua a sembrare un equivoco ed è, in realtà, una delle operazioni più in malafede della cultura di fine secolo, Angela sarebbe stato il conduttore per eccellenza (è la parola giusta) dentro e fuori il tubo catodico, insegnando al grande pubblico (che non si chiamava generalista) i misteri del corpo umano, l’etologia e la pedagogia, la fisica, l’antropologia e le religioni.

Ma tanto vale ripetersi: divulgazione non è dire cose difficili con parole semplici. Non equivale a spezzare il pane. Angela non voleva spiegare niente a nessuno. Gli premeva sollecitare l’ascoltatore a mettersi in moto e rifare poi, fidando nelle proprie forze, il cammino da capo. Sotto questo profilo Angela non è stato un divulgatore ma un acceleratore di potenza. Qualcuno che prepari la volata. Insomma, un maestro.

Mi vengono in mente, d’acchito, l’Arrigo Polillo del Jazz, scritto tra il 1971 e il ’75, un libro che Angela conosceva bene; o il Massimo Mila della Breve storia della musica del 1946; o ancora, per rimanere nei territori di Quark, le Lezioni di fisica di Carlo Rovelli, pubblicate dall’Adelphi di Calasso, da cui non si capisce la teoria della relatività o i quanti (come sarebbe possibile?), ma si riemerge con la voglia di approfondire Einstein per quanto sia lecito o possibile. Ecco: questo il gran colpo messa a segno da Polillo, da Mila (torinese come Angela), da Rovelli e, appunto, da Angela. Appassionare e spronare. Spronare e appassionare. Andata e ritorno.

Un ultimo punto e il più importante. Per capire perché siano durati, come long seller, quei campioni di tv non divulgativa che sono «Quark» e «Super Quark» bisogna partire dalla sigla. L’aria sulla quarta corda di Bach riarrangiata dagli Swingle Singers, oggi in organico di sette (contralti, bassi e soprani). Il tardo barocco reinventato in vocalese, con le voci che imitano gli strumenti (come dire: Giambattista Tiepolo rifatto da Liechtenstein). L’inclinazione verso la civiltà musicale afroamericana (un poco come nel caso del cinema di Clint Eastwood) suggerisce ad Angela i tempi e i ritmi oltreché, come è prassi tra i jazzisti, la sfida di costruirsi gabbie per poi provare a uscirne, escogitando soluzioni inaspettate. Appartiene al lessico del Jazz; è purissimo jazz che si fa mentre si suona: il modo rigoroso ma improvvisato in cui Angela, che si era fatto le ossa lavorando in radio, fece capolino con discrezione nel monoscopio regimental degli anni del boom economico in Italia.

«Rapidamente» e «a colpo d’occhio» sono avverbi ed espressioni che sceglieva per catturare l’attenzione. Morta o data per morta mille volte la tv, intanto, è cambiata ed è diventata il segmento di un braccio lungo, dove convivono altri canali di approvvigionamento a finire con quel prolungamento (supplemento?) del corpo costituito dallo smartphone. Ma queste lezioni di intelligenza e libero pensiero appartengono, ormai, al nostro tempo migliore.


Stefano Causa

Un gentiluomo piemontese
Era un gentiluomo piemontese di vecchio stile, razza ormai perduta. Sempre cortese e disponibile anche quando al termine della presentazione di un libro veniva importunato da seccatori indiscreti che avrebbe potuto mandare al diavolo: mai una piega invece, mai un cedimento. Gli dobbiamo tutti molto. Ha insegnato a generazioni di italiani il valore del pensiero scientifico e dell'approccio razionale alle problematiche mediche, storiche e, più in generale, culturali.

Personalmente ne apprezzavo molto l'idiosincrasia totale alla superstizioni, alle credenze popolari, ai ciarlatani e negromanti che si spacciano per scienziati, a quelli che fanno affermazioni senza prove e evidenze. A Piero Angela si deve anche uno dei primi seri contatti tv con la storia e con l'arte italiana, contatti destinati a un pubblico popolare ed eterogeneo. Un pubblico non necessariamente acculturato, di anziani e ragazzi, lavoratori e impiegati che davanti alle sue trasmissioni poteva però riconoscersi più che in altre circostanze e magari farsi trapassare da un brivido d'orgoglio per la comune appartenenza ad una nazione così importante sul piano storico, artistico e scientifico.

Aveva fatto certo meglio della scuola. Il suo racconto delle cose non era per iniziati e questo può aver fatto storcere il naso a molti intellettuali abituati a confrontarsi fra di loro su questioni specialistiche trattate con linguaggio criptico. Con Angela invece capivi tutto e magari imparavi qualcosa. Era torinese ma non aveva fatto le sue fortune nella sua città da troppo tempo sorda ai talenti locali e da troppo tempo decadente e priva di slanci. Era diventato famoso attraverso strumenti e canali di altri luoghi, segnatamente della Rai romana.

La sua severa educazione torinese gli era però servita, eccome, e chi sopravvive a una giovinezza calvinista nella capitalina subalpina può poi sopravvivere, con ampia rendita, in qualsiasi altra parte del mondo.

Apparendo tutte le settimane in tv aveva acquistato una grande autorità di cui mai aveva abusato. La sua parola aveva effettiva autorevolezza e ha imbevuto   un largo strato di pubblico. Sul suo terreno arato in profondità si sono poi innestati molti altri giornalisti divulgatori, a cominciare dal figlio Alberto e a scendere fino a quelli che ogni due giorni si infilano in tutte le tombe egiziane o etrusche abbandonate dove non c'è nulla da vedere (se non scarafaggi), e da sapere, e in primo piano c'è solo il faccione dell'insopportabile pseudospecialista di turno.

Il giornalismo di stampo anglosassone (ma anche in Inghilterra è un genere che non c'è quasi più) informativo, documentato, alla ricerca della verità è stato il suo habitat. Grazie dunque ad Angela e al suo insegnamento garbato e razionale e all’offerta di spettacoli televisivi culturali accurati e fra i più interessanti e vivi fra fine del Novecento e inizio del Ventunesimo secolo.


Arabella Cifani

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