All’Icp l’eclettismo di William Klein

A New York una mostra del ritrattista delle città, fra fotografia, cinema e pittura

«Moves and Pepsi» (1955) di William Klein. © William Klein, Courtesy Howard Greenberg Gallery
Ada Masoero |  | New York

Fotografo di moda? Fotografo di strada? Regista? Pittore? Grafico? William Klein è tutto questo insieme, e la mostra «William Klein. YES. Photographs, Paintings, Films, 1948-2013», curata da David Campany per l’International Center of Photography (fino al 12 settembre), si propone proprio di evidenziare la creatività multiforme che ha permesso all’artista di dominare queste diverse pratiche nel corso di quasi sessant’anni di carriera.

Il superamento dei confini è del resto un tratto essenziale non solo della sua personalità, ma della sua stessa biografia: nato a New York nel 1928, Klein si forma alla Sorbona e come pittore con Fernand Léger.

Nei primi anni ’50 conosce a Parigi il primo successo da pittore e fotografo astratto. Lì vive gran parte della sua vita, tornando però di frequente a New York (chiamato la prima volta da Alexander Liberman, art director di «Vogue America») e viaggiando per il resto del mondo. E proprio New York, con la sua energia vibrante, diventa il set delle sue fotografie di strada poi passate alla storia.

Quelle immagini, così come l’impaginazione radicalmente innovativa, segnano l’evoluzione della fotografia e della grafica editoriale («Ho deciso di usare tutto, senza tabù, dichiara Klein, contrasto, colore, grana, fotografie sfuocate, tagliate, così com’erano»). Riunite nel libro New York, 1955, rifiutato dagli editori americani e pubblicato poi all’estero, le sue fotografie sono diventate un modello ineludibile per le generazioni successive.

Klein avrebbe poi «ritratto» altre città del mondo, da Roma a Mosca, a Tokyo, mentre diventava uno dei più influenti fotografi di moda e continuava a realizzare documentari («Cassius the Great», 1964, il più famoso, ma non meno incisivo, anche per il montaggio volutamente caotico, «The Pan African Festival of Algiers», 1969) e numerosi film.

Con i suoi 300 lavori, la mostra (un libro è in uscita da Thames & Hudson), dà conto di tutti questi media, enfatizzando la sua totale libertà espressiva anche attraverso un articolato public program.

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