L’identità dei giovani artisti arabi

A Palazzo Bembo va in scena la cultura saudita osservata attraverso le opere di quattordici artisti che con le loro ricerche raccontano il concetto di identità

«Agar» di Deva Youssef
Monica Trigona |  | Venezia

Si definisce una galleria d'arte ma anche un luogo di musica e una piattaforma per il confronto, lo spazio 369 di Riad, capitale nonché primo polo finanziario dell'Arabia Saudita, fondato da Maya e Mona Al Abdullah, curatori d'arte. Da questa realtà votata alla creatività e all’innovazione, e che si ripromette di promuovere la cultura saudita e la sua ricerca artistica al più vasto pubblico internazionale, nasce la mostra «Re-composing».

Nel cinquecentesco Palazzo Bembo, a Venezia, sino al 13 agosto, quattordici artisti sauditi, Saeed Gamhaoui, Mariam Almesawi, Khalid Almarzouki, Saad Howede, Raghad Al Ahmad, Rexchouk, Hatam Alahmad, Hmoud Al Attawi, Houda Terjuman, Deyaa Yousef, Ajlan Gharem, Fahad Al Nasser, Khulod Albugami e Obaid Alsafi, presentano una trentina di lavori che, da diverse prospettive, riflettono sul tema della propria identità culturale mettendone in discussione la composizione.

Quest’ultima, poco conosciuta ai più probabilmente anche per la storica distanza con l’occidente del mondo, è da qualche anno al centro di un ripensamento, basti pensare alle importanti riforme introdotte dal principe ereditario Mohamed Bin Salman che mirano a modernizzare il Paese nel rispetto del ricco patrimonio e delle tradizioni locali.

Nell’interrogarsi sul «chi siamo» a livello personale, ma anche come società o come nazione, gli autori, tutti emergenti, mettono in discussione stereotipi e convenzioni esplorando concetti quali il genere, l’etnia, la nazionalità e patrimonio.
Il video di Deyaa Youssef, consulente creativo, poetessa, artista, scrittrice e regista indipendente, si compone di una doppia proiezione, due girati in cui la componente musicale e performativa si fondono per dar vita ad un intenso racconto femminile in cui emerge il ruolo materno della donna e la sua elevazione spirituale.
«How do you do» di Hatem Al Ahmad
Hatem Al Ahmad, artista che si confronta con più contesti contemporaneamente alla ricerca di ponti tra la storia e tra le nazioni, ha realizzato una grande installazioni con legnetti «abbassalingua» e stringhe. L’opera riassume il processo di trasmissione di alcune parole derivate da una realtà pessimistica: esse, attraverso il tempo e vari passaggi generazionali, si trasformano in concetti completamente diversi dall'originale.

La piccola scultura di Houda Terjuman, una palma dorata che si innalza con le sue radici nell’etere portando con sé un pezzetto di terra, evoca il processo stressante e doloroso che si cela dietro la ricerca di una casa. L’autrice lavora sul concetto dell’identità culturale in Medio Oriente, in particolare sul Regno dell'Arabia Saudita.

Della stessa artista è l’olio su tela, dal sapore surrealista, intitolato «No Foreign Lands»: il miraggio di una palma dorata che si erge su un divanetto nel bel mezzo di un paesaggio brullo vuole recare speranza a chi è radicato nel deserto, tra la patria e un paese ospite. Il messaggio intrinseco alla composizione è di incoraggiamento al fine di costruire un'identità multipla. 

Rimandi alle risorse, alle eccellenze artigianali e alle caratteristiche culturali e morfologiche del proprio Paese d’origine sono presenti in ogni lavoro, sia questo un video o un quadro. Tra forte senso d'appartenenza e sguardo proiettato al futuro, gli artisti in mostra esprimono in maniera molto personale visioni fortemente contaminate dalle ricerche artistiche internazionali di ieri e di oggi.

© Riproduzione riservata Particolare di «No foreign lands» di Houda Terjuman
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