Quell’«aria di uomo da bene» del San Marco di Donatello

A 36 anni dall’ultimo restauro, analisi recenti svelano nuovi dettagli sul capolavoro del Museo di Orsanmichele

Laura Lombardi |  | Firenze

Mentre è ancora in corso la mostra dedicata a Donatello a Palazzo Strozzi e al Museo del Bargello, è stato presentato il restauro del «San Marco» che il maestro, secondo Francesco Caglioti il vero inventore della scultura moderna, eseguì per il Tabernacolo dell’Arte dei Rigattieri e dei Linaioli. Donatello interviene nel 1411 su un blocco di marmo già abbozzato da Niccolò di Pietro Lamberti e conclude l’opera nel 1413, distaccandosi dalla tradizione iconografica. Il santo, infatti, è ritratto come un filosofo antico (con quell’«aria di uomo da bene» che sarà lodata da Michelangelo) e con un effetto di movimento nella postura estraneo alla consuetudine trecentesca, come si nota nella torsione del busto e nelle gambe, l’una leggermente piegata, l’altra più flessa.

La scultura restò nella nicchia di Orsanmichele fino al 1977 prima di essere rimossa e portata all’Opificio delle Pietre Dure per il restauro del 1986. L’intervento odierno è stato reso possibile nella sala stessa del museo di Orsanmichele dove l’opera è conservata, grazie alla generosità dell’Associazione «Friends of Florence» che già nel 2014 aveva finanziato un altro capolavoro di Donatello come la «Crocifissione» del Museo del Bargello.

Come sottolinea Paola D’Agostino, direttrice del polo museale di cui Orsanmichele fa parte, l’intervento è l’esito di una sinergia tra diverse realtà e competenze: sotto la direzione di Matteo Ceriana, con la collaborazione di Francesca de Luca e Benedetta Matucci, il restauro è stato nuovamente affidato all’Opificio delle Pietre Dure. Ad eseguirlo, sotto la direzione di Riccardo Gennaioli, sono state Camilla Mancini e Franca Sorella, mentre le indagini scientifiche preliminari sono state svolte da Andrea Cagnini, Monica Galeotti e Simone Porcinai, con la consulenza di una commissione tecnico-scientifica (Lorenzo Lazzarini, IUAV, Marisa Laurenzi Tabasso, Istituto Centrale del Restauro e Daniela Pinna, Università di Bologna).
Il «San Marco» di Donatello dopo il restauro. Foto Magliani
Concepita per una visione dal basso, la statua era posta a oltre due metri di altezza, rispettando l’attenzione che Donatello rivolgeva al punto di vista privilegiato per la fruizione. Il consistente restauro del 1986 l’aveva liberata dalla patinatura bronzea applicata dopo il 1879 a tutte le sculture delle nicchie di Orsanmichele. Tuttavia, le accurate indagini compiute per questo restauro, perlopiù non invasive a parte un microprelievo, hanno evidenziato residui della patinatura, che sono stati oggetto di una pulitura mirata e selettiva per mezzo di un apparecchio laser con emissione a lunghezza d’onda 532 nm (Thunder Art) cui è stato applicato un filtro attenuatore per limitarne l’azione meccanica, ma anche con una miscela di solventi apolari applicati sotto forma di gel e di emulsione prima della rifinitura con il laser.

Altre tracce del precedente restauro erano le resine siliconiche (all’avanguardia per l’epoca) usate per proteggere la scultura durante l’operazione di calco eseguita da Michele Bourbon per realizzare la copia. Sebbene scarsamente visibili ora a occhio nudo, sono emerse le numerose dorature presenti sulla statua nella coperta dell’evangelario, tra le ciocche scomposte della chioma e della barba, lungo le bordure della tunica, sui polsini delle maniche e sulle frange dei drappi che cingono la vita e le spalle.

Per conoscere meglio la scultura è stata eseguita da Mauro Magliani una campagna fotografica ed è stato realizzato dallo studio Micheloni un rilievo a tre dimensioni per ottenere una struttura virtuale atta a recuperare lo stato originale della scultura che, oltre alle sopracitate dorature, aveva anche delle nappe che chiudevano gli angoli del cuscino su cui poggia i piedi il santo. Particolari tutt’altro che secondari perché aumentano il peso naturalistico dell’oggetto prezioso scelto da Donatello al posto del piedistallo, decisione che lasciò perplessi i consoli dell’Arte che pur si ricredettero, come racconta Vasari, nel vedere poi l’imponenza del san Marco nella sua nicchia. Come nota Matteo Ceriana, quella del cuscino è un’invenzione straordinaria perché rappresenta una sfida nel contrasto tra la figura del santo eroico e severo e la superficie morbida e cedevole sulla quale si appoggia, che solo il genio dell’artista, allora venticinquenne, poteva concepire.

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