Lacca giapponese e carta «extralarge» ad Amsterdam

Al Rijksmuseum un inno alla storia millenaria di queste due tecniche artigianali e alla loro capacità di reinventarsi

Un particolare di «Cyclorama» (1850) di anonimo artigiano
Elena Franzoia |  | Amsterdam

Aprono oggi al Rijksmuseum di Amsterdam due mostre fino al 4 settembre.  «Modern Japanese Lacquer» è realizzata in collaborazione con il Museum für Lackkunst di Münster (Germania) e dedicata alla collezione di arte in lacca giapponese (urushi) creata tra 1890 e 1950.

Circa 70 opere dimostrano come questa millenaria tecnica artigianale, che cattura in genere suggestivi momenti della vita del mondo naturale, abbia saputo reinventarsi, passando da uno stile tradizionale caratterizzato dall’uso di oro e argento su fondo nero a una nuova estetica dai colori brillanti e dalle forme audaci. Curatore ospite è l’esperto e collezionista Jan Dees, che ha ottenuto prestiti internazionali da Europa, Giappone e Stati Uniti.

In circa 40 anni Dees e il suo compagno René van der Star hanno costituito la principale collezione del settore a livello internazionale, cuore della mostra. Dees è anche autore del volume Breaking out of Tradition: Japanese Lacquer 1890-1950 (Hirmer Verlag, Monaco 2020) che ne costituisce il catalogo. «La mostra inizia da un importante momento di emancipazione dell’arte della lacca» afferma Dees. Verso il 1890 infatti viene fondata una nuova accademia in cui gli studenti possono godere di una formazione multidisciplinare nonché di un’educazione da artisti indipendenti. È una generazione che rompe con le immargini classiche per uno stile più personale, come si vede chiaramente in una scatola di strumenti per la scrittura della nostra collezione, donata nel 1912 dall'imperatore Meiji a una sua concubina.

Intitolato «The Sound of Things», il cofanetto è attribuito a Tojima Kōfu e rappresenta Semimaru, un principe cieco esiliato che smette di suonare il liuto per ascoltare il fruscio del vento tra i fili d’erba. Tra le altre opere presenti in mostra,  raffinati oggetti d’uso, emerge una scatola per scrittura decorata da un cormorano su uno scoglio, realizzata dall’artista Rokkaku Daijō nel 1938 e appartenente alle collezioni del Rijksmuseum.

«Nonostante la trasformazione di inizio novecento gli artisti furono criticati per una presunta mancanza di innovazione, tanto da impedire loro di partecipare all’annuale Salon nazionale» conclude Dees. Frustrati, furono costretti a reinventarsi sviluppando un nuovo linguaggio, fino all’ammissione nel 1927 al Salon ufficiale.

La seconda mostra  «PAPER XXL. Big, bigger, biggest!» presenta, come precisa il direttore del museo Taco Dibbits, «molte opere su carta delle nostre collezioni che, anche a causa della loro fragilità, non sono mai state esposte prima. Si tratta di opere che sorprendono non solo per le impressionanti dimensioni, ma anche per la loro bellezza e diversità».

La versatilità, unita al basso costo, che nel corso dei secoli ha caratterizzato il supporto cartaceo ne ha infatti motivato la varietà degli usi. Esemplari in questo senso i disegni di progetto cinquecenteschi (alti ben 12 metri) delle monumentali vetrate colorate della «Chiesa Grande» di San Bavone ad Haarlem accostati in mostra a quelli realizzati da Richard Roland Holst nel XX secolo per la Cattedrale di San Martino a Utrecht, che dimostrano peraltro una plurisecolare continuità nei metodi di produzione delle vetrate.

Analogamente, la mostra espone opere molto antiche (come l’albero genealogico dell'imperatore Carlo V di Robert Péril, realizzato intorno al 1535) e contemporanee, come la foto «Gunkan Jima» di Sanne Peper. L’opera però più affascinante è forse il cyclorama, lungo ben 23 metri, rimasto per decenni arrotolato nei depositi del Rijksmuseum  e creduto un arazzo.

Riscoperta proprio in occasione della mostra, l’opera si è rivelata essere, grazie alle ricerche archivistiche, un tratto del «Reuzencylorama», gigantesco panorama in movimento lungo 1500 metri raffigurante paesaggi svizzeri, austriaci e italiani. Commissionato a metà Ottocento dall’imprenditore tedesco Ferdinand Reichardt e dipinto a Berlino da esperti scenografi, il cyclorama andò in tournée sotto forma di spettacolo in Olanda, Belgio e Inghilterra.

© Riproduzione riservata «Cormorano giapponese» (1938) di Rokkaku Daijō
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