Nel Duomo di Orvieto un altro Duomo

Capolavoro assoluto dell’oreficeria italiana appena restaurato, il trecentesco reliquiario di Ugolino di Vieri racconta diverse storie

Mari Yanagishita a lavoro sul Reliquario di Ugolino di Vieri Il Reliquiario di Ugolino di Vieri (1338) Il Reliquiario di Ugolino di Vieri (1338) riallestito nella Libreria Alberi di Orvieto
Giuseppe M. Della Fina |  | Orvieto (Tr)

«Poi, nel Duomo, un altro Duomo, il Reliquario senese d’argento e d’oro e di smalti traslucidi come se l’acqua si fosse rappresa, come se il mare diventasse vetro: quasi annegati i gentili profili lorenzettiani, di una civiltà senza pari»:  il rapporto profondo del Duomo di Orvieto con il Reliquario di Ugolino di Vieri è condensato in queste parole che Cesare Brandi scrisse nell’articolo «Tenera Umbria» pubblicato nella rivista «Epoca» e riproposto nelle diverse edizioni di Terre d’Italia. Poche righe, ma così intense che restano nella memoria.

Nei mesi scorsi l’Opera del Duomo di Orvieto ha promosso il restauro del Reliquario affidandolo a Mari Yanagishita. L’intervento appena concluso è stato portato avanti con la supervisione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio dell’Umbria insieme all’Istituto Centrale per il Restauro e il Laboratorio di restauro dei metalli e delle ceramiche dei Musei Vaticani.

Proviamo a vedere più da vicino questo capolavoro assoluto dell’oreficeria italiana e a seguire le diverse storie che racconta. La prima, indiretta, è quella del committente: il vescovo Tramo Monaldeschi, membro autorevole di una famiglia ricordata da Dante Alighieri nella Divina Commedia (Purgatorio, VI, versi 106-108). Il Reliquario è datato con certezza al 1338 e solo quattro anni prima il fratello Ermanno Monaldeschi aveva preso il potere nella città di Orvieto. Alla sua morte, nell’anno in cui l’opera venne commissionata (1337), Tramo provò a succedergli senza successo. Non riuscendoci venne costretto all’esilio in due occasioni e nella seconda dovette rifugiarsi presso la corte pontificia di Avignone, dove morì nel 1345.

Un’altra storia che si può leggere in quest’opera è quella dell’equilibrio stilistico del maestro orafo Ugolino di Vieri. Nella sua bottega e in particolare nel Reliquario orvietano riuscì a far convivere i linguaggi di due generazioni diverse di artisti senesi: la prima attiva già negli anni Venti del Trecento e legata alla cultura gotica transalpina, la seconda successiva e influenzata dal linguaggio di Ambrogio Lorenzetti.

La vicenda narrata nel Reliquario, e motivo stesso della sua realizzazione, è relativa al miracolo eucaristico di Bolsena, che spinse nel 1264 il pontefice Urbano IV (di per sé già convinto da tempo) a proclamare la festività del Corpus Domini. Il racconto dell’accaduto occupa per intero due dei tre registri della fronte: dalla messa celebrata nella Chiesa di Santa Cristina a Bolsena, nel registro superiore, alla promulgazione della bolla «Transiturus de Mundo» con la quale la festa venne istituita, in quello centrale. Nel registro inferiore, infine, la storia delle vicende di Cristo ispirate dai Vangeli: dall’Annunciazione sino alla Crocifissione e alla Resurrezione.

L’intervento di restauro è accompagnato dalla nuova musealizzazione del Reliquario, che continuerà a essere visibile nella Libreria Alberi, ma in una nuova vetrina e in associazione con altre opere, tra le quali il Reliquario del cranio di San Savino sempre firmato da Ugolino di Vieri in collaborazione con Viva di Lando.

In alcune occasioni sarà possibile accedere alla Libreria Alberi direttamente dalla Cattedrale seguendo la suggestione di Cesare Brandi: «nel Duomo, un altro Duomo».

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