Gallerie d’Italia a Torino testimone del proprio tempo

A pochi giorni dall’apertura, il vicedirettore Antonio Carloni racconta ambizioni e prospettive della nuova sede di Palazzo Turinetti, tra rapporto con il pubblico, dibattito sul contemporaneo e impatto sociale

Antonio Carloni, Vice Direttore delle Gallerie d'Italia - Torino
Rica Cerbarano |  | Torino

È quasi arrivato il momento. Il 17 maggio Gallerie d’Italia - Torino aprirà le porte della sua spettacolare sede in Piazza San Carlo: diecimila metri di percorso espositivo su cinque piani, di cui tre ipogei, dedicati all’immagine contemporanea nelle sue declinazioni più varie. Il progetto architettonico, firmato da Michele De Lucchi e AMDL CIRCLE, trasforma gli spazi di Palazzo Turinetti, sede storica di Intesa Sanpaolo, in un luogo dove indagare il presente e immaginare il futuro: l’obiettivo è fare luce sulle sfide della contemporaneità, dalla lotta alla povertà, al contrasto al cambiamento climatico, passando per le questioni legate all’inclusività e all’educazione. Non solo luogo di mostre dunque, ma anche di comunicazione e di incontro, dove sarà possibile discutere, imparare e confrontarsi con il proprio tempo, alimentando una nuova sensibilità e consapevolezza verso quelle che sono le urgenze sociali del mondo di oggi.

Il museo, diretto da Michele Coppola, Executive Director Arte Cultura e Beni Storici e Direttore delle Gallerie d’Italia, sarà sede anche dell’Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo, che raccoglie circa 7 milioni di scatti realizzati dagli anni Trenta agli anni Novanta da una delle principali agenzie di fotogiornalismo italiane. Inoltre, il piano nobile ospiterà una selezione di opere del Barocco piemontese proveniente dalle collezioni del Gruppo. Ma la vera protagonista del quarto museo della Banca sarà la fotografia, la cui continua evoluzione rispecchia fedelmente i mutamenti della società: nel suo costante rimodellamento, l’immagine fotografica si identifica con il presente e viceversa, restituendo un’interpretazione aderente alla realtà in atto, che si tratti di scatti di reportage o riflessioni concettuali.

Gallerie d’Italia - Torino si prospetta uno spazio dedito all’esplorazione del ruolo che riveste l’immagine fotografica oggi, vocazione già dimostrata nella collaborazione con «Il Giornale dell’Arte», che nei mesi scorsi ha pubblicato molti contributi speciali, in cui esperti del settore hanno approfondito alcune questioni cruciali del dibattito contemporaneo sul mezzo fotografico: dal confine labile tra realtà e finzione su cui si fonda la staged photography (di Francesco Zanot) al rapporto tra documentazione fotografica e inquinamento ambientale (di Laura Leonelli), solo per citarne alcuni.

L’inaugurazione del museo avverrà con la mostra «La fragile meraviglia. Un viaggio nella natura che cambia» di Paolo Pellegrin, con la curatela di Walter Guadagnini e il contributo di Mario Calabresi: frutto della committenza affidata al fotografo da Intesa Sanpaolo, il lavoro inedito indaga il tema del cambiamento climatico attraverso una lettura per immagini del rapporto tra l’uomo e il suo ambiente naturale. L’esposizione di Pellegrin dialogherà con la mostra «Dalla guerra alla luna. 1945-1969», una selezione di immagini storiche dell’Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo a cura di Giovanna Calvenzi e Aldo Grasso, che documenta il miracolo economico fino alla più grande conquista dell’uomo moderno, lo sbarco sulla luna.

Per celebrare l’imminente apertura, la cui attesa è stata accompagnata nei mesi scorsi da «Il Giornale dell’Arte» con una serie di contenuti di approfondimento dedicati proprio a Gallerie d’Italia - Torino, abbiamo intervistato il Vicedirettore Antonio Carloni, già direttore del Festival internazionale Cortona On The Move.


Partiamo dalle origini. Come è nata l’idea di ospitare Gallerie d’Italia a Palazzo Turinetti?
Fino al 2015 Palazzo Turinetti è stato l’headquarter della banca, poi spostato nel grattacielo progettato da Renzo Piano nei pressi della stazione Porta Susa. Nel 2019 comincia a ipotizzarsi l’apertura di una sede delle Galleria d’Italia a Torino e lo storico palazzo di Piazza San Carlo viene designato come nuovo luogo dedicato alla cultura, come avvenuto a Vicenza con Palazzo Leoni Montanari, prima sede delle Gallerie d’Italia aperta nel 1999, in Piazza della Scala a Milano e in via Toledo a Napoli, prima con Palazzo Zevallos Stigliano e poi, dal 21 maggio 2022, con il Palazzo dell’Ex Banco di Napoli. Tornando a Torino, all’inizio si pensava di adibire a sale museali soltanto il piano nobile, ma la metratura non era sufficiente per le nostre ambizioni. La «leggenda» racconta che, in uno dei primi sopralluoghi con l’architetto De Lucchi e l’ingegnere Tedesi, perlustrando i caveau e i parcheggi ci si è accorti che c’era molto spazio inutilizzato… Da lì l’intuizione di creare un’apertura all’interno del Chiostro del Palazzo, come se fosse una vera e propria estensione di Piazza San Carlo, rendendo così accessibile al pubblico una parte rimasta nascosta per lungo tempo.
Un render della Sala dei 300 dove verranno allestite le mostre
Come si sviluppa il museo?

Il museo è diviso in due, sia dal punto di vista strutturale che dal punto di vista contenutistico: c’è una parte legata a quella che è la memoria storica della banca e del territorio, ovvero il piano nobile, dove saranno esposte le collezioni di Intesa Sanpaolo (per lo più dipinti del Seicento-Settecento piemontese). Qui verranno anche ospitate le nove tele dell’oratorio di San Paolo del 1563, che oltre ad essere state esposte nella sede della Fondazione Compagnia di San Paolo dal 2015 ad oggi, hanno per il museo un ruolo importante perché in qualche modo anticipano i contenuti che verranno sviluppati nella parte ipogea, dove l’immagine fotografica sarà la vera protagonista. Infatti, le nove tele dell’oratorio sono state la prima committenza importante della Banca e, allo stesso modo, tutta la parte ipogea del museo sarà dedicata proprio alle grandi committenze che affideremo a fotografi contemporanei; nel dialogo tra queste due anime delle Gallerie d’Italia - Torino, la storia della città si ripete e si confronta con se stessa, a 450 anni di distanza.


L’Archivio Publifoto, acquisito da Intesa Sanpaolo nel 2015, è uno dei patrimoni fotografici più importanti del nostro Paese. Ci sarà uno spazio dedicato?

Assolutamente sì. L’Archivio Publifoto, prima pietra su cui si costruisce il museo, sarà trasferito da Milano a Torino e verrà reso visibile al piano -3. Nel percorso di visita sarà possibile osservare il nuovo spazio ad esso dedicato da dietro un vetro: il pubblico vedrà gli archivisti al lavoro, come succede nelle cucine a vista dei ristoranti per intenderci. Poi ci sarà un’infrastruttura digitale, Archivio Vivo, un ledwall di 6x2,50 metri che permetterà di consultare tutta la parte digitalizzata dell’archivio: sarà possibile cercare le immagini per tag, data, autore, e man mano che digitalizzeremo l’Archivio il materiale sarà fruibile dal pubblico, dagli studiosi e da chiunque sia interessato.


Dal punto di vista dei contenuti che cosa dobbiamo aspettarci?

Il museo è concepito come un testimone del proprio tempo, uno spazio in cui i cittadini possono comprendere quelle che sono le grandi problematiche del mondo in cui viviamo: per questo motivo, la programmazione museale vuole affrontare e interpretare il contemporaneo. Gallerie d’Italia - Torino vuole raccontare quello che succede e creare un modello educativo per il futuro. Gli argomenti che trattiamo provengono dalle tematiche ESG della banca e in quanto tali sono molto vicine ai 17 goals delle Nazioni Unite. Con la mostra di Paolo Pellegrin parleremo di cambiamento climatico, ma in futuro affronteremo altre grandi questioni sociali, come la povertà, l’inclusione, la guerra, l’immigrazione.


Le committenze ai grandi fotografi sono forse l’aspetto più caratterizzante del museo. Come funzionano? Come nascono e come si sviluppano?
Una volta che abbiamo trovato un argomento che riteniamo importante affrontare ci muoviamo alla ricerca del fotografo giusto. Non ci sono call pubbliche, la scelta passa attraverso un comitato scientifico del Progetto Cultura. Inoltre, il museo non ha un curatore stabile e questa è una scelta non convenzionale: la nostra idea è creare ogni volta un’accoppiata vincente (curatore-fotografo), conservando la libertà di trattare di volta in volta generi fotografici diversi, trasformando così il museo in un caleidoscopio di storie che riguardano il nostro tempo. In questa prima mostra vedremo la grande fotografia documentarista di Pellegrin, ma in futuro ci saranno tanti altri temi come la fotografia naturalistica, la fotografia italiana della seconda metà del ‘900 e tanti artisti contemporanei che usano la fotografia in modo sperimentale. Per ogni committenza, copriamo finanziariamente il lavoro del fotografo, così come ovviamente la produzione della mostra. Le stampe entreranno nella collezione della banca, che ad oggi vanta più di 35.000 opere di pregio; inoltre, ogni mostra andrà a generare partnership con altri musei.
Un render della Sala Voltata dove verranno allestite le mostre
In un momento cruciale come quello post-pandemia, qual è stata la vostra riflessione sul pubblico? A che tipo di audience parla il museo?

In fase di scrittura della visione strategica, abbiamo deciso di declinare la programmazione del museo in quattro ambiti diversi. Uno è quello della ricerca, che si occupa delle committenze ai grandi fotografi e, come abbiamo detto, affronta le problematiche del contemporaneo: quest’area è pensata per un pubblico generalista, che si può identificare con quello che vede e che può beneficiarne in termini di apprendimento.

Un altro ambito è quello dell’inclusione sociale: il museo è chiamato a riflettere su quello che succede sul territorio attraverso la realizzazione di attività specifiche mirate ai pubblici delle periferie, oppure ai visitatori diversamente abili. Ci sarà tutta una serie di attività e device mirati a rendere i nostri contenuti accessibili a più persone possibili. Oltretutto, verrà realizzata un’app che sarà sia strumento di visita sia dispositivo per fruire i contenuti anche da casa, oltrepassando quindi la semplice dimensione fisica del museo con approfondimenti che si possono leggere prima o dopo la visita, amplificandone così la durata e l’esperienza.

Poi c’è l’ambito dell’educazione, che a sua volta si sviluppa in tre macro aree: un’area dedicata alle scuole di ogni grado (dalle primarie fino all’università) sviluppata in collaborazione con il nostro partner Civita, che gestisce i servizi museali. Una parte sarà dedicata alle università torinesi che si occupano di immagine e comunicazione: con ognuna di loro faremo dei progetti speciali, dove chiederemo agli studenti di partecipare attivamente alla vita del museo, con l’obiettivo di risolvere un problema evidenziato in fase di stesura del piano strategico: molti ragazzi vengono a Torino, studiano e poi vanno a Milano a portare il know-how acquisito nelle università torinesi. Vogliamo che questo in futuro possa cambiare. Ovviamente non sappiamo se ci riusciremo, però l’obiettivo di una struttura del genere è quella di diventare un attrattore, un moltiplicatore di opportunità per il territorio.

La terza area della formazione è quella dedicata ai pubblici specifici, con progetti dedicati agli addetti ai lavori dell’ambito fotografico e culturale.
L’ultimo e quarto ambito del museo è quello che risente maggiormente del rapporto con Compagnia di San Paolo e che vede il museo come un incubatore, un luogo in cui creare possibilità e sfruttare tutta quella vibrazione di innovazione sociale e di start up che nascono a Torino. La nostra idea sarà sostenere startup che risolvono problemi in ambito culturale, soprattutto per quanto riguarda l’accessibilità e la fruizione dei contenuti.


Secondo lei, qual è il ruolo oggi di un museo? Quale può essere il suo reale impatto sulla società?

Credo che, per avere un ruolo civile importante nella società contemporanea, il museo debba smettere di fare il museo. Le realtà culturali devono pensare che chi visita le proprie mostre, chi entra in contatto con le proprie attività, si deve identificare con quello che succede. Questa è la mia visione personale. Io sono convinto che chiunque faccia questo lavoro debba raccontare il proprio tempo con il linguaggio più attuale, ed è per questo che la fotografia oggi è lo strumento migliore.

Credo che l’unico modo per avere un concreto impatto sociale sia quello di rompere le regole che abbiamo avuto fino al Covid, che è stato il vero spartiacque a livello di interazione con il pubblico. Penso che la partita vera sia proprio questa: interpretare il contemporaneo scomponendo la modalità di ingaggio tra l’istituzione culturale e il pubblico. Per noi questo approccio non è nuovo. Il Progetto Cultura è nato nel 2011 proprio con l’idea di valorizzare e condividere l’immenso patrimonio artistico di Intesa Sanpaolo, che altrimenti sarebbe rimasto chiuso in un caveau o tenuto chissà in quale ufficio… Questo fa capire come la banca abbia avuto, già più di dieci anni fa, un’attenzione particolare verso il pubblico. Attraverso quella che è una vera e propria assunzione di responsabilità, la banca vuole affrontare tematiche attuali attraverso un linguaggio che smuova le persone, e niente può essere meglio della fotografia in questo senso.


A proposito di questo, la fotografia è considerata il linguaggio più immediato tra le discipline artistiche, eppure in essa si nasconde un’ambiguità forse sottovalutata. Secondo lei quali sono le sfide più grandi che l’immagine contemporanea si trova ad affrontare oggi?
Penso sia il rapporto con la verità. Il discorso più banale che possiamo fare è «siamo sommersi di immagini». Verissimo, ma ormai è appurato, smettiamo anche di dirlo. La mia convinzione è che le immagini abbiano sostituito le parole, su due livelli: uno è quello della quotidianità, dove le persone utilizzano le immagini per esprimersi e comunicare; l’altro è quello dei professionisti, che con le immagini ci lavorano e che cercano di costruire discorsi di un certo spessore. Ognuno, naturalmente, lo fa in modo diverso: c'è il professionista che si occupa di reportage, quello che si occupa di moda e quello che si occupa di 3D. Credo che il pericolo imminente che abbiamo davanti è che l’immagine viva come immagine e basta, scollegata dalla realtà: ovviamente, porteremo questo tipo di riflessione negli spazi del museo: la nostra ambizione è diventare un punto di riferimento non solo per la città, ma per tutto il mondo fotografico nazionale e internazionale.

GALLERIE D’ITALIA - TORINO
I contributi speciali pubblicati nei mesi scorsi per approfondire alcune questioni cruciali del dibattito contemporaneo sulla fotografia in vista dell’apertura della nuova sede di Gallerie d’Italia

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