Non avevamo capito Katz

Al Mart di Rovereto una cinquantina di opere della maturità del pittore statunitense

Un particolare di «Dark Brown Hat» (2002) di Alex Katz
Camilla Bertoni |  | Rovereto (Tn)

«Il modo in cui Katz fu ricevuto in Europa rivela molto del conformismo dei gusti e delle raccomandazioni e io stesso ne sono un emblematico pessimo esempio». Inizia con questa ammissione di colpa il testo di Walter Grasskamp scritto vent’anni fa e riportato nel catalogo della mostra «La vita dolce» che il Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, dedica al pittore americano Alex Katz (dal 15 maggio al 18 settembre, a cura di Denis Isaia).

La disattenzione europea nei confronti di Katz (New York, 1927) sembra finire «dal 1997, scrive ancora Grasskamp, grazie alla mostra di Bice Curiger “Birth of the Cool” e alla presentazione di Saatchi a Londra». In Italia Katz arrivò nel 1990 con una mostra da Mazzoli presentato da Bonito Oliva. «Fedele a sé stesso» e «outsider nel suo genere», scrive Grasskamp, oggi Katz si è visto omaggiato da una mostra alla Fondazione Thyssen-Bornemisza di Madrid, appena conclusa, una monografica di prossima apertura al Guggenheim di New York e da questa esposizione trentina che arriva a vent’anni da quella che Vittoria Coen curò alla Galleria Civica di Trento.

Una cinquantina di tele di grandi dimensioni, realizzate dal 1988 a oggi, provenienti da collezioni private italiane e svizzere, raccontano la stagione della maturità dell’artista. L’estratto da un film per la tv del regista Ranuccio Sodi, mai trasmesso, fornisce un ritratto del pittore che si muove in una personalissima interpretazione pop della realtà comprimendola in un linguaggio minimale. Fiori, paesaggi e ritratti sono i temi ricorrenti, ma «il soggetto che mi interessa è la luce esterna, dichiara Katz a David Sylvester in un’intervista riportata in catalogo. Grazie alla pittura ho l’opportunità di scavare dentro me stesso, di andare a scoprire il mio inconscio e anche la mia intelligenza, la mia sensibilità e il mio “io” a un livello profondo, non verbale».

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