Il paolinesco e il depisisiano

Al Museo Novecento di Firenze De Pisis e Paolini messi in corrispondenza dal «collante» Vitone

«Alter-ego (Coincidenze)» (2022) di Luca Vitone. Cortesia dell’artista e di Galleria Rolando Anselmi; Galerie Christian Nagel; Galerie Michel Rein
Andrea Cortellessa |  | Firenze

«Pulchriora latent» (Le cose più belle si nascondono) era il motto di Filippo de Pisis. E potrebbe essere pure quello di chi, nell’esporre artisti in apparenza distanti, voglia portare a giorno, fra loro, un legame latente. Tanto effettivo, e pregnante, quanto recondito ed elusivo: davvero metafisico. Questo il partito preso da Sergio Risaliti nell’ideare il percorso al Museo Novecento di Firenze, del quale ha già riferito qui Laura Lombardi («Filippo de Pisis, L’illusione della superficialità», a cura di Lucia Mannini e Sergio Risaliti; «Giulio Paolini, Quando è il presente?», a cura di Bettina Della Casa e Sergio Risaliti; «Luca Vitone, D’après (de Pisis-Paolini)», a cura di Eva Francioli e Stefania Rispoli, Firenze, Museo Novecento, 18 marzo-7 settembre 2022, Ndr).

Si possono immaginare due artisti più distanti dell’«immediato», fulminante, pirotecnico de Pisis e del «concettuale», indugiante, introverso Giulio Paolini? La sfida era quella di «inventare» (etimologicamente «rinvenire», o appunto «disvelare») il paolinesque «latente» di de Pisis almeno quanto di depisisiano ci sia in Paolini.

In apparenza una mission impossible: ma la sfida è da dirsi vinta. Infallibile la selezione nel catalogo ubriacante di de Pisis, nell’isolarvi «espedienti come il “quadro nel quadro”, la mise en abyme della rappresentazione visiva, l’evocazione degli strumenti del mestiere e la composizione allegorica che talvolta funziona come un rebus» (così si legge nel «giornale» della mostra).
Un particolare di «Prova d'autore» (2021) di Giulio Paolini
Si dirà che sono i tratti più «dechirichiani» dell’infatuato de Pisis, il quale infatti di preferenza inabissa nei propri quadri quelli del Pictor Optimus (riferimento fondante anche per Paolini: si veda Un appuntamento mancato, Aragno, Torino 2019); eppure già nel secondo libro del «marchesino pittore» (Emporio, del cruciale 1916) ci si addentra in Wunderkammern nelle quali le «cose» prendono un rilievo auratico e spettrale (si veda Miriam Carcione, La poetica della meraviglia, Bulzoni, Roma 2021).

Squisitamente «paoliniano», certo, il principio dell’«indifferenziabilità dell’arte» di cui parla de Pisis. Ma la Stimmung degli ultimi lavori di Paolini vede accentuarsi un tratto di angoscia ultimativa, e quasi apocalittica, che già da tempo incrina l’imperturbabilità eleatica delle sue prove «classiche»: un’interrogazione ansiosa già nel titolo rubato a Rilke, Quando è il presente? Eloquente «l’ultima opera in mostra» (scrive Paolini sul «giornale»), «L’ultimo sigillo»: nella quale una cascata di tavole da un atlante astronomico precipita verso terra, dove ad attenderle c’è un disegno delle mani dell’auctor: la destra indica l’orologio al polso della sinistra, sul quale in luogo delle ore figura una spirale colorata, una vertigine hitchcockiana.
«Natura morta con vaso di fiori e tela con nudo maschile» (1930) di Filippo de Pisis. Collezione civica, Dono Aldo Palazzeschi, Università di Firenze. Fototeca Musei Civici Fiorentini
Non vuol certo fare da sintesi dialettica il terzo convitato, Luca Vitone. Ma è proprio la sua presenza a fare da collante decisivo (e non solo perché gli si deve la carta da parati sullo sfondo dei de Pisis, che ripete una foto del «marchesino» mentre dipinge in presenza di un suo avatar fantoccio). Proprio l’artista genovese trapiantato a Berlino rifunzionalizza oggi, infatti, la prassi del d’après, canonizzata e infine banalizzata dal ludus postmodernista, in accezione rigorosamente materialista: dando corpo a un’idea per così dire solubile della tradizione, che ogni volta si polverizza e decanta per poi risorgere dalle proprie ceneri, come la musica che esala dalle rovine piranesiane nei sottili détournements visti l’anno scorso al MaXXI in «Io, Villa Adriana» e ora ripresi nell’auto-d’après alla Galleria Rolando Anselmi di Roma («Ancora su Villa Adriana», fino al 3 giugno; Ndr).

In questo senso l’incontro con Giulio Paolini, che della re-visione creatrice della tradizione, e della sua «traduzione» in termini materiali e strutturali, è il maestro per eccellenza nell’arte dell’ultimo mezzo secolo, rappresenta un appuntamento forse tardivo: ma, anche, un come-volevasi-dimostrare. * Critico e saggista

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