Il ritorno di Pirri a Roma

Utilizzo della luce, del colore, delle trasparenze e della materia nelle opere esposte da Sara Zanin

«scultura percorribile» di Alfredo Pirri
Silvano Manganaro |  | Roma

È un piccolo evento la mostra di Alfredo Pirri da Sara Zanin; non solo perché è la prima collaborazione tra la gallerista romana e l’artista calabrese (e romano d’adozione) ma anche perché di mostre di Pirri a Roma non se ne vedevano da un po’. Quella in corso (4 maggio - 30 giugno), dal titolo «Di luce e fango», è una piccola retrospettiva: dislocata su due sedi (la galleria di via della Vetrina e il project space di via Baccio Pontelli) presenta non solo lavori nuovi, ma è puntellata di opere (spesso inedite) di ben quattro decenni.

Quello che colpisce è il fil rouge che si può individuare in tutti questi lavori, una ricerca rigorosa sulla luce, sul colore, sulle trasparenze, ma anche un riferimento, per contrasto, alla materialità, al fango addirittura. Orizzontalità e verticalità, alto e basso, pluralità dello sguardo sono gli altri elementi fondamentali. Molto d’impatto la sala principale della galleria, con grandi lavori come incastonati in una sorta di boiserie; qui Pirri prosegue la ricerca iniziata più di recente, con cerchi concentrici incisi e tenui sfumature.

Nelle altre due stanze lavori degli anni Ottanta (disegni per alcune scenografie in parte realizzate e in parte no) e opere degli anni Novanta e Duemila. Nello spazio ai margini del Colle Aventino, sempre a cura di Cecilia Canziani e Davide Ferri, una serie di lavori in plexiglas che, in parte, fanno da trait d’union con l’altra mostra ma, soprattutto, una grande «scultura percorribile» che vorrebbe collocarci ancora una volta tra cielo e terra.

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