Carlo Valsecchi nella Grande Guerra

Una personale del fotografo bresciano negli spazi della Collezione Maramotti per il Festival di Fotografia Europea 2022

«# 01147 Grigno, Trento, IT» (2020) di Carlo Valsecchi © Carlo Valsecchi
Rica Cerbarano |  | Reggio Emilia

Dopo Posterius (Silvana Editoriale, 2021), libro fotografico dedicato alle architetture industriali e al paesaggio antropizzato, il fotografo bresciano Carlo Valsecchi (1965) esplora il conflitto tra uomo e natura: «Bellum», il suo ultimo progetto, commissionato dalla Collezione Maramotti per il Festival di Fotografia Europea 2022, sono 44 fotografie di grande formato, una ventina in mostra negli spazi della collezione, dall’1 maggio al 31 luglio.

Il progetto nasce da un’esplorazione dei territori e delle costruzioni fortificate del nord-est italiano legati alla prima guerra mondiale, uno degli ultimi momenti della storia occidentale dove uomo e natura erano ancora, nel bene e nel male, intimamente connessi. Per tre anni Valsecchi ha percorso quelle montagne con il suo banco ottico, per comprendere gli effetti dell’azione dell’uomo, come il lento processo di mutamento e di cancellazione causato dal suo passaggio e i segni di una presenza effimera ma decisiva.

Nelle immagini di Valsecchi, portali di luce sospesi in un tempo indefinito, la natura si fa antropomorfa e l’artificiale si ibrida con la natura in un processo di scambio, sollevando questioni importanti come il punto da cui ripartire dopo il difficile periodo della pandemia. Le immagini di «Bellum» raffigurano vecchie trincee abitate da corpi ora coperti dalla vegetazione, cupole metalliche simili a grotte e pareti bruciate dalle esplosioni riconquistate da muschi e organismi di varie specie. Sembrano suggerire che oggi l’unico posto dove cercare nuova energia e linfa vitale sia quell’intricato sentiero che la natura ci offre e in cui ci accoglie con la sua essenza ambivalente che oscilla tra violenza e candore.

In occasione della mostra sarà pubblicato un libro con testi di Florian Ebner, curatore capo del Cabinet de la Photographie del Centre Pompidou di Parigi, e di Yehuda E. Safran, critico d’arte e di architettura e docente al Pratt Institute di New York.

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