Risiko scaligero

A Verona una complessa vicenda di musei progettati e mai realizzati: dalla Gam al Museo di Storia Naturale, da Castelvecchio post Scarpa all’Arena

Castel San Pietro La loggia del Palazzo del Capitanio
Camilla Bertoni |  | Verona

Una città in espansione dal punto di vista dell’offerta museale e culturale, in testa tra le mete turistiche d’Italia subito a ridosso di Roma, Firenze e Venezia, un sistema museale che conta, oltre all’Arena, otto siti civici (ora sotto direzione unificata di Francesca Rossi), che conta, oltre all’Arena, otto siti museali, un nuovo Museo Archeologico Statale aperto a febbraio scorso, infine la Casa Museo Palazzo Maffei aperta poco prima della pandemia per rendere pubblica la collezione di Luigi Carlon.

Molti altri, poi, i progetti di musei nuovi o rinnovati, ma poiché negli ultimi anni (decenni...) non si è agito secondo una visione progettuale forte e condivisa, ora la città, con tanta carne al fuoco da gestire e tante incognite da affrontare, sembra essere da una parte in stallo (al pettine arrivano i nodi di scelte, economiche e strategiche passate), dall’altra si guarda al Pnrr per dare corpo a sogni di più generazioni di veronesi.

In stand by è così il destino di tre palazzi, divenuti di proprietà della Fondazione Cariverona: Castel San Pietro, Palazzo del Capitanio e Palazzo Forti. Cassaforte impoverita di altre quattro province (Vicenza, Belluno, Mantova e Ancona) oltre a quella veronese (da 6 miliardi di euro nel 2008 a 2 odierni, con l’aggravio di una precedente politica di acquisizione immobiliare che oggi pesa sulle casse) è uno dei tre attori, il più importante, di questa storia.

Il secondo è l’Amministrazione uscente a maggio, con l’assessore alla Cultura Francesca Briani e la direzione Musei Civici di Francesca Rossi (mentre scriviamo si svolge il concorso per la nomina di un nuovo direttore a tempo indeterminato, Ndr). Il terzo attore protagonista è il soprintendente Archeologia, Belle Arti e Paesaggio Vincenzo Tinè il cui invito a vivacizzare un panorama «troppo fermo» è risuonato più volte.

L’asburgica caserma di Castel San Pietro che domina il Teatro Romano è chiusa da decenni, e in passato si voleva farne un hotel con casinò: restaurata al grezzo dalla attuale proprietaria Fondazione Cariverona, con ritrovamenti archeologici emersi durante i lavori, per Tinè, Briani e Rossi dovrebbe ora accogliere il Museo della Città, ipotizzato da decenni con un progetto degli Amici dei Musei datato 2000.

Ma la macchina si è fermata: chi ha i soldi per crearlo e soprattutto gestirlo? Il tema della sostenibilità è, e dovrebbe essere sempre, primario, come spiega il direttore generale di Fondazione Cariverona Filippo Manfredi. Tinè avrebbe anche autorizzato un ristorante panoramico sul tetto a fare da motore economico, ma la situazione resta in stallo.

Idem per il trecentesco Palazzo del Capitanio, originariamente di Cansignorio,in piazza dei Signori (sempre della Fondazione Cariverona, che negli ultimi dieci anni ha speso 53 milioni per acquisizioni e lavori a Capitanio e San Pietro): restaurato al grezzo, vedrà, come a San Pietro, una parziale apertura a giugno con mostra fotografica su progetto di una giovane associazione e con il coinvolgimento di studenti.

Ma sul suo destino non c’è ancora unità di vedute, perché qui Fondazione propone un Urban Center su modello bolognese, come una seconda parte dell’ipotetico Museo della Città che invece Soprintendenza e Comune vedrebbero in sede unica a Castel San Pietro. Progetti questi che in ogni caso non decolleranno fintantoché non si sblocca la situazione immobiliare (e finanziaria) di Fondazione che, nelle due centralissime sedi di Unicredit in dismissione, progetta un albergo di lusso che fa discutere la città.

Su una cosa, però, Soprintendenza e Cariverona sono d’accordo: bisogna fare sistema anche dal punto di vista economico, sottolinea Manfredi che ha commissionato uno studio. Risultato: se Arena e Casa di Giulietta sono fonti attrattive di turisti e risorse, il resto dei musei veronesi è in disavanzo, e ci vorrebbero almeno 400mila visitatori l’anno per andare a pari. Un problema che non riguarda, evidentemente, solo Verona. Si guardi allora a esempi virtuosi, incalza Manfredi, come Fondazione Musei Civici di Venezia, che possono operare con agilità e che con un bilancio unico si compensano a vicenda.

Non si parla più invece, a Verona, di quel fantomatico «Polo del contemporaneo» che si vagheggiava una dozzina di anni fa, quando sciaguratamente si è venduto Palazzo Forti, sempre a Cariverona che ora non sa che cosa farsene anche perché il Comune ne detiene fino al 2030 l’uso, ma l’ha lasciato vuoto: se all’interno cela una stratificazione storica che va dai Romani a Napoleone, era fino al 2010 sede della Gam per volontà del donatore Achille Forti, le cui volontà sono state disattese. Il trasferimento in fretta e furia subito dopo la vendita, con cura dimagrante, della Gam nell’inadeguato Palazzo della Ragione, adiacente al Capitanio, senza più l’ipotesi di fare di entrambi il «Polo del contemporaneo» mostra oggi tutti i suoi limiti.

Il sogno di Briani sarebbe di riportare la Gam a Palazzo Forti, mescolando le opere della collezione civica con quelle della Fondazione Cariverona, che vanta una raccolta con Boccioni prefuturista, imponenti Vedova, capolavori come la «Donna che nuota sott’acqua» di Martini, oltre a sculture di Mirko e Marini. Ma alla fine che cosa si pensa di fare di Palazzo del Capitanio (circa 11mila metri quadrati di superficie)?

Restaurato e riallestito il Museo Archeologico al Teatro Romano, ampliato il Museo degli Affreschi Cavalcaselle alla Tomba di Giulietta, langue invece il sogno di un Grande Castelvecchio, con tanto di progetto firmato dagli Amici dei Civici Musei di Verona in collaborazione con funzionari del museo stesso: trasformato negli anni ’60 con il magistrale intervento di Carlo Scarpa, il museo vorrebbe ampliarsi sfrattando il Circolo Unificato dell’Esercito che occupa una parte del maniero, dotandosi di servizi essenziali (in primis quelli igienici), un bookshop adeguato e (a proposito di sostenibilità) una caffetteria di cui nessun museo veronese attualmente è dotato.

Ma i militari non sembrano d’accordo e a fronte di un sogno che resta al momento tale Briani ha avuto dal Pnrr 18 milioni di euro per dare i servizi necessari a Castelvecchio al suo esterno, nella palazzina Comando dell’ex Arsenale asburgico al di là del fiume. Altro complesso su cui un tempo si vagheggiava di fare la sede del Museo di Storia Naturale con progetto di David Chipperfield, sogno drasticamente ridimensionato a un centro commerciale poi bocciato da questa amministrazione (che ha almeno avviato il processo di arresto al degrado).

E non si sente più parlare dei progetti per dare al Museo di Storia Naturale, che ha sede troppo piccola nel cinquecentesco Palazzo Pompei di Michele Sanmicheli e una propaggine all’Arsenale, lo spazio e il valore che meriterebbe con le sue raccolteuniche al mondo come quelle dei fossili di Bolca e i suoi due milioni di reperti, numerosi nei depositi, in parte valorizzati al Muse di Trento.

Prende corpo invece l’ultimo sogno, quello di Tinè e Briani per trasformare l’Arena in un museo: alcuni arcovoli ospiterebbero i recenti ritrovamenti archeologici dell’anfiteatro, mentre documenti, oggetti e apparati multimediali ne racconterebbero la storia come monumento e sede di spettacolo, e una caffetteria potrebbe sistemare i suoi tavolini persino nel vallo. Ma un paio di milioni mancano ancora all’appello, e si chiede aiuto al Pnrr.

© Riproduzione riservata Il Palazzo della Ragione, sede della Gam
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